La psicologica del "rigore perfetto". Quando il tiro dal dischetto è strategia e freddezza

Studi approfonditi avrebbero detto chiaramente come segnare un rigore, o addirittura pararlo.

del 2016-06-15

Per alcuni è il momento più affascinante del calcio, per altri andrebbe addirittura abolito. Si vincono Campionati del Mondo e Champions League alla lotteria dei rigori, ecco: ma è giusto usare questo termine indice di tanta casualità? L’ultima finale di Champions è stata decisa proprio ai rigori, dopo che all’interno dello stesso match ne era stato sbagliato uno: lo studio compiuto da Sports Bwin con la collaborazione del professore Bradley Busch, dal titolo ‘La psicologia del rigore perfetto’ ha evidenziato ad esempio di quanto la percentuale di realizzazione dal dischetto si abbassi dai 120 minuti regolamentari ai rigori, oppure quali strategie dovrebbe seguire chi si appresta a calciare dagli undici metri per avere più chance di segnare.

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  • A subentrare sono fattori mentali: ansia, timore, paura, pressione, la sensazione che quel gesto tecnico sia estremamente decisivo per le sorti della squadra. Ancor di più quando il calcio di rigore può designare la tua sconfitta, in tal caso la probabilità di errore è ancor più grande.  

    Alcune delle più grandi manifestazioni intercontinentali nell’era moderna sono state decise dal dischetto, dividendo il mondo pallonaro in due partiti: quelli che giudicano riduttivo l’esito di un match per un rigore e quelli che vedono nella roulette dagli 11 metri la concentrazione massima di tutte le caratteristiche utili per vincere una partita. Tecnica, freddezza, lucidità, gioco di squadra: sì, anche quest’ultimo aspetto che nei rigori può sembrare formalità. Le ricerca effettuata dallo psicologo Busch dimostra  che se si esulta dopo un gol dal dischetto, aumentano le probabilità di vittoria grazie alla scarica di adrenalina che ciò infonde ai propri compagni.    

    Studi che ovviamente presentano delle eccezioni, come spesso è accaduto nella storia recente del calci italiano: sarebbe di oltre il 60% la percentuale di vittoria di chi comincia la sequenza dei rigori. Andatelo a dire a Baresi che cominciò dal dischetto sia in Italia-Argentina dei Mondiali 1990 che ad Usa ’94 in finale col Brasile, segnando e sbagliando rispettivamente. O ancora, a Serginho che esordì sbagliando nella maledetta finale contro il Liverpool: per par condicio, ricordiamo anche Trezeguet due anni prima a Manchester nella finale Champions tutta italiana.  

    Un momento oggettivamente spettacolare, capace di appassionare persino chi il calcio non lo segue o si annoia durante il classico svolgimento del match: attimi all’interno dei quali si sono consumati drammi sportivi e personali, di campioni scivolati sul più bello e con traumi a far loro da ombra per il resto della carriera e vita. “Nino non aver paura di calciare un calcio di rigore…”, cantava persino De Gregori: perché quella lenta rincorsa è una metafora della vita. 

    Fra chi l’affronta a testa alta e senza paura e chi, invece, la vive come l’attraversata di una cascata su di un filo barcollante.  

    Fonte: Sports.bwin.it

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