I 160 Cortili Cvetranesi tra storia, ricordi e una architettura da recuperare
di: Vito Marino - del 2016-03-29
Con la globalizzazione moltissime tradizioni, che facevano parte della nostra cultura sono scomparse, mentre altre, dissimili dalle nostre, appartenenti a popoli del nord Europa, sono venuti ad inserirsi nella nostra vita quotidiana.
Le mie ricerche non si fermano ai ricordi del passato, ma anche a tradizioni e monumenti che ancora esistono ma che aspettano inutilmente di essere valorizzate.
Voglio parlare di un progetto che porto avanti da tanto tempo, e che riguarda una parte del nostro passato, che si potrebbe ancora recuperare e rivalutare ai fini culturali, architettonici e principalmente turistici. Si tratta dei meravigliosi cortili di Castelvetrano.
Il classico cortile castelvetranese, con l'arcata d’ingresso a tutto sesto, fa parte di un’architettura di chiara matrice islamica; una volta il loro numero era considerevole, purtroppo, con i restauri dei vecchi edifici, molte arcate sono state abbattute, per far posto ad una moderna architettura lineare. In ogni caso a Castelvetrano esistono censiti ancora 160 cortili.
Tralascio volutamente di parlare della struttura architettonica dei cortili e, principalmente della vita e umanità che in essi si celava e si conduceva quotidianamente, perché ne ho già parlato nel mio libro “Sicilia scomparsa” e nei miei numerosi articoli, ma che tornerò a farlo. Dirò soltanto che chiuso il portone, unico accesso al cortile, i suoi abitanti si sentivano più sicuri contro le invasioni barbaresche del passato e contro i malavitosi di sempre.
Nel cortile c’era sempre qualche albero da frutta, generalmente di limone, ma non mancavano mai i fiori coltivati per terra nelle aiuole o nei vasi.
La storia ci dice che dal 1360 al 1820, i Saraceni provenienti dalla Turchia e dalla Barberia, da veri corsari assalivano e depredavano le navi che incontravano; ma sbarcavano anche lungo le coste della Sicilia facendo razzie di prodotti ed animali e, spesse volte, anche di persone che portavano via come schiavi (i “cattivi” di Sicilia).
Per la difesa del territorio sorsero, allora, lungo le coste, le torri d’avvistamento, chiamate dal popolo: “turri saracini”.
Lungo il litorale vicino a Castelvetrano c’erano le torri di Tre Fontane, di Porto Palo e di Polluce di Selinunte, nonché della Vicaria Nuova). Per lo stesso motivo, tutti gli edifici di allora, come bagli, masserie e cortili, assunsero una forma architettonica comune, costituita da spesse mura esterne, con finestre alte protette da robuste grate ed entrata unica dal portone d’ingresso, con una grande corte all’interno.
Il cortile è sempre esistito; esisteva anche nelle case romane, ma posto all’interno dell’edificio, come disimpegno all’abitazione e per dare luce alle stanze, e come ornamento floreale. Il cortile siciliano invece sta all’esterno dell’abitazione, come area comune ad altri abitanti e per la difesa collettiva contro eventuali malavitosi.
Quando ero ragazzo, siamo nell’immediato dopoguerra ricordo che solo le costruzioni più nuove o ristrutturate, avevano l’ingresso con “porta a la via” (dalla strada); tutte le costruzioni più antiche avevano l’ingresso dentro i cortili.
I muri di cinta di questi cortili, come del resto tutti i muri esterni delle abitazioni basse, a piano terra erano costruite di “petra e taiu” (pietra calcarea non squadrata e murata con calce impastata con terra nera di campagna) e avevano il tetto spiovente coperto di tegole (il coppo siciliano).
Per una tradizione lasciataci dagli Arabi durante la loro dominazione, e continuata dagli Spagnoli, le pareti esterne delle case e dei cortili venivano imbiancate con latte di calce, con il classico “scuparinu”, un grosso pennello di foglie di palma nana (curina).
Durante le grandi pulizie di Natale o Pasqua, si chiamava il muratore, che ritoccava le “liste” (gli intonachi che lasciavano appena intravedere le pietre) e quindi imbiancava tutto il muro.
Il bianco splendente fra l’altro, riflettendo i raggi inclementi del nostro sole estivo, lasciano più fresche le abitazioni. Quindi tutta Castelvetrano aveva delle caratteristiche forse uniche.
Un proverbio siciliano dice: “lu putiaru socch’avi abannia” (il bottegaio vende quello che ha). Noi abbiamo un ricco patrimonio architettonico e culturale che non abbiamo fino ad ora saputo o voluto valorizzare per metterlo a disposizione del visitatore.
Mi fa rabbia nel vedere come certi popoli riescano a rivalutare i propri prodotti, mentre noi lasciamo andare tutto alla deriva e scimmiottiamo nuovi filoni e nuove idee provenienti da altri popoli. Si tratta di una cultura che noi, da bravi esterofili, abbiamo sacrificato in nome della modernità e del benessere, proveniente dal nord.
Nel 2012, seguendo un itinerario turistico che unisce i paesi detti “los pueblos blancos”, che si trovano in Spagna, in Andalusia, in provincia di Cadige ho potuto constatare che tutte le facciate delle case erano dipinte di bianco, allo scopo di proteggere le abitazioni dal calore estivo.
Siccome questo bianco intenso, con il contrasto delle inferriate tinte in nero e il verde e rosso dei numerosi vasi di gerani appesi al muro, davano degli effetti straordinari, i turisti erano numerosi per ammirare e fotografare. (quindi loro hanno sfruttato la tradizione guadagnando turismo, mentre noi l’abbiamo sacrificato in onore della modernità).
Invece a Cordoba ho assistito alla “Festa dei cortili fioriti” Fiesta de Los Patios, che si svolge ogni anno dal 10 al 19 maggio. Una gara che coinvolge tutta la città, rendendola spettacolare. I classici cortili andalusi, in questi giorni vengono rinnovati ed abbelliti da stupendi fiori e rigogliose piante. La festa è diventata così importante che è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, e, come ogni festa che si rispetti, alla premiazione erano previsti spettacoli musicali e balli flamenchi.
Questo dimostra come certi valori che sembrano insignificanti per noi vengano invece valutati con profitti anche economici da altri popoli più in gamba di noi. Quindi, dobbiamo rivalutare i cortili esistenti, stimolando il privato cittadino, attraverso un “concorso dei cortili fioriti”, patrocinato dal Comune e da qualche Ente privato. Agli abitanti del cortile più ornato e reso più bello si potrebbe dare un premio, anche simbolico e delle pergamene di riconoscenza.
Alla premiazione si potrebbe invitare il coro dell’UNITRE, di cui faccio parte anch’io, per cantare delle canzoni siciliane.
Così potremmo avere un ritorno al passato e alle nostre tradizioni che abbiamo disprezzato e la rivalutazione di un patrimonio che si va perdendo per degli interventi edilizi inopportuni. Potrei continuare ancora, cito soltanto San Sperate un paesetto del cagliaritano che ha rivalutato le loro case che, invece di essere costruite di pietra e taiu, come le nostre sono costruite di mattoni crudi d’argilla e paglia fatti asciugate al sole, come avveniva nel lontano passato in Egitto.
Questo villaggio, rivalutando le caratteristiche di alcune case antiche ancora esistenti, è stato dichiarato PAESE MUSEO, diventando attrattiva turistica.
Mi permetto di aggiungere che anche Menfi e Partanna hanno rivalutato i loro cortili, ricostruiti dopo il terremoto del ‘68, attraverso delle manifestazioni gastronomiche e culturali che vi si svolgono dentro, in occasione di feste religiose o paesane. E’ da tempo che porto avanti questo progetto e continuerò a farlo, perché ci credo e perché sono sicuro che porterà alla città, un aspetto più accogliente, oltre che un ritorno economico.