Psicologia della guerra. L'importanza di evitare conflitti per il bene di tutti
di: Andrea Amati - del 2016-05-08
(ph. diariodelweb.it)
Durante la guerra tra Iraq e Kuwait chi, in Occidente, desiderava l'intervento militare delle forze dell'ONU, riteneva d'essere nel "giusto" rispetto a chi, non volendo quell'intervento, dava l'impressione di voler conservare lo status quo dell'aggressione irachena.
Le critiche degli interventisti ai pacifisti diventano motivate ogni volta che il pacifismo emette condanne nei confronti di certi soprusi e violazioni del diritto, non sortiscono alcun effetto.
Quante le condanne “morali” dell’Onu dal 1945 ad ggi e tante sono rimaste solo morali. La soluzione interventista è illusoria. Gli interventisti, in genere, sono dei fatalisti, non si ritengono mai responsabili (neppure indirettamente) dello scoppio dei vari conflitti sociali o anche delle guerre.
La guerra, per loro, è sempre "inevitabile", è una sorta di "legittima difesa" di una o di molte nazioni contro un nemico. Naturalmente la guerra non può modificare alcuna situazione se non in peggio (basta vedere il disastro sociale, economico ed ecologico che ha provocato quella del Golfo). La guerra, soprattutto quella moderna, è una tragedia per tutti, abbruttisce l'umanità facendola regredire.
I grandi problemi sociali (che poi si riflettono sulla vita privata) non possono rimanere irrisolti per troppo tempo. Essi rischiano di produrre conseguenze imprevedibili: il malessere diventa sempre più grande, i sintomi o le terapie diventano sempre più irrazionali. I politici e gli statisti borghesi hanno il terrore di dover perdere il loro potere a causa del persistere di tali problemi irrisolti.
Essi si servono degli strati sociali meno consapevoli (inclusi quelli intellettuali) per tutelare le loro posizioni. La soluzione estrema, unilaterale, autoritaria, bellica... è il "dio" che tutti invocano per risolvere dei problemi molto più vasti e complessi e così, se in politica interna si evoca la pena di morte contro l'anonima sequestri, per quale ragione non si dovrebbe evocare una punizione esemplare (con tanto di armi di sterminio di massa) per l'Iraq di Saddam Hussein?
Le due richieste partono da una medesima esigenza: quella di far giustizia il più presto possibile, nella maniera più efficace e in modo da lasciare un segno per i futuri "criminali".
Sono proprio queste persone che di fronte alle obiezioni pacifiste, si appellano alla "inevitabilità" degli eventi, alla mancanza di "alternative".
Perché analizzare la psicologia della guerra? Perché capirne i meccanismi e e trarne misure mirate ad evitare le sofferenze e la distruzione. È impossibile prevenire ogni conflitto locale, come è impensabile prevenire ogni delitto. Il problema è la prevenzione di grandi guerre totali.
Nel 1932 il problema fu discusso in uno scambio di lettere fra Albert Einstein e Sigmund Freud, che fu pubblicato in un volumetto (“Perché la guerra?”). Due i punti su cui trovarono un accordo. Il primo era il concetto che gli esseri umani sono soggetti all’istinto di conservare e unificare, di amare e anche all’istinto di odiare e distruggere.
Ciascun istinto è indispensabile quanto lo è il suo opposto. I fenomeni della vita vanno considerati come derivanti dalla loro interazione. Il secondo punto era che l’impulso verso la guerra potesse essere frenato solo formando una classe superiore di pensatori indipendenti di alta moralità e capaci di illuminare e guidare sia gli intellettuali, sia le masse ispirate, quindi, a seguire i dettami della ragione, una speranza utopica.