Non è legittima l’i.v.a. sul canone Rai. Plausibile ipotesi di richiesta di rimborso
di: Antonino Pernice - del 2016-08-24
Ai fini dell’applicazione dell’I.V.A., l’attività di (tele)radiodiffusione pubblica, istituita per legge, finanziata con il pagamento del canone da parte dei proprietari degli apparecchi ricevitori non costituisce “prestazione di servizi”, perché difetta del requisito di onerosità.
Il principio è stato affermato dalla Corte di Giustizia Ue, con riferimento al caso Cesky rozhlas (la radio pubblica di Praga), causa C-11/15, la cui sentenza è stata depositata il 22.06.2016.
Riguardo al canone RAI, l’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 29/2016 (§ 3.1) ha precisato che l’importo totale di €.100,00 per il canone dovuto per il 2016 risulta inclusivo di IVA.
La Circolare dell’Agenzia delle Entrate n.29/2016 (nota 5 al § 3.1 della circolare n. 29/2016) conferma l’applicazione dell’aliquota Iva 4% su tutto il territorio nazionale (ai sensi del n. 36) della Tabella A, parte II, allegata al DPR 633/72), esclusi i comuni di Campione d’Italia e Livigno, per difetto di territorialità.
Se è vero come è vero che il canone è un’imposta, esso non è assoggettabile ad IVA. Il principio è stato più volte affermato anche dalla Cassazione, sent. 5078 del 15.03.2016, che da ultimo si è pronunciata in merito all’inapplicabilità dell’I.V.A. alla non dissimile fattispecie della Tassa di igiene ambientale (cosiddetta “TIA Ronchi” o “TIA1”).
In quel frangente la Corte ha affermato che “l’IVA mira a colpire una qualche capacità contributiva che si manifesta quando si acquisiscono beni o servizi versando un corrispettivo (...), non quando si paga un’imposta, sia pure destinata a finanziare un servizio da cui trae beneficio il medesimo contribuente”.
Pertanto, la “TIA1” non può dar luogo ad una “prestazione di servizi” agli effetti dell’IVA, perché caratterizzata da una natura prettamente tributaria.
Tanto dovrebbe valere anche per il canone radiotelevisivo, sulla cui natura tributaria si è già espressa la stessa Corte di Cassazione (ex multis, sentenza 26.03.2012 n. 4776), al di là della querelle relativa al fatto che esso rappresenti un’“imposta” piuttosto che una “tassa”.
La decisione della Corte di Giustizia, nella citata sentenza C-11/15 relativa al servizio pubblico di radiodiffusione della Repubblica Ceca, è incentrata sui profili oggettivi dell’imposizione sul valore aggiunto secondo l’art. 2 della sesta direttiva (ora, art. 2 della direttiva 2006/112/CE), in base al quale costituiscono operazioni soggette ad IVA “le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisce in quanto tale”.
Detta norma “presuppone l’esistenza di un nesso diretto tra il servizio prestato e il controvalore ricevuto”.
Nel caso del servizio di radiodiffusione pubblica di cui si tratta nel procedimento principale, la Corte Ue rileva che:
- non intercorre un rapporto giuridico tra la società che esercita il servizio radiofonico pubblico e le persone tenute al pagamento del canone, tale per cui avvenga uno scambio di reciproche prestazioni;
- non sussiste un nesso diretto tra tale servizio di radiodiffusione pubblica e il canone dovuto.
Nell’ambito della fornitura del servizio radiofonico (ma lo stesso potrebbe valere per il servizio televisivo), le parti non sono legate da alcun vincolo contrattuale né da alcun negozio giuridico implicante la stipulazione di un prezzo.
Infatti, il pagamento del canone discende dall’esecuzione di un obbligo imposto per legge ai destinatari del servizio, il che esclude qualsiasi possibilità legata alla sussistenza di un rapporto sinallagmatico e, dunque, di una “prestazione di servizi” caratterizzata da onerosità, agli effetti dell’IVA.
In base alle citate sentenze, in ragione dell’applicazione del Canone in bolletta, si può configurare una fattispecie di richiesta di rimborso dell’IVA sul Canone Rai.