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Si avvicina la Pasqua a CVetrano con tante novità

di: Vito Marino - del 2017-04-09

Immagine articolo: Si avvicina la Pasqua a CVetrano con tante novità

(ph. www.uccronline.i)

La parola “Pasqua” deriva dal termine latino pascha e dal greco paska, La parola ebraica pesach significa "passare oltre", "tralasciare", e deriva dal racconto della decima piaga, nella quale il Signore vide il sangue dell'agnello sulle porte delle case di Israele e "passò oltre", colpendo solo i primogeniti maschi degli egiziani, compreso il figlio del faraone (Esodo, 12,21-34). La Pasqua ebraica risale intorno al 1200 a.C. e rappresenta la liberazione degli ebrei dalla schiavitù sotto gli egiziani.  

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  • La Pasqua cristiana, che risale tra il II e il III secolo d.C. rappresenta la ricorrenza più importante dell’anno liturgico, perché celebra gli ultimi giorni della vita terrena di Gesù, con i tormenti interiori, le sofferenze fisiche, il processo ingiusto, la salita al calvario, la crocifissione, la sepoltura e infine la resurrezione. Dal 1500 al 1700 la passione, morte e la resurrezione di Cristo, in Sicilia fu rappresentata ed esaltata con varie funzioni religiose di origine barocca spagnola e tramandate fino a noi.

    A Castelvetrano queste funzioni si svolgono nel corso della Settimana Santa che incomincia con la ricorrenza della Domenica delle Palme e termina con la manifestazione dell’Aurora.  

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  • Per concludere il ciclo pasquale, la Chiesa include nella liturgia anche il giorno dopo Pasqua, detta Pasquetta, un giorno riconosciuto festivo dallo Stato e tanto atteso dalla popolazione per divertirsi all’aria aperta.    

    Oggi a Castelvetrano la funzione dell’Aurora viene celebrata ancora in maniera solenne, come alle origini. La stessa rappresentazione, celebrata in altri comuni siciliani e calabresi prende il nome di "Affruntata",  che deriva da “frunti”, “facci frunti” cioè di persone messe di fronte, quindi: “Incontro”.

    Dalle numerose comunità ebraiche di Sicilia abbiamo tratto l’usanza di consumare a tavola, durante il pasto pasquale, l’agnello: “Agnus Dei”, eccezionalmente il capretto. E’ scomparsa invece l’usanza di consumare nel giorno di Pasqua la “sosizza pasquarola”. Si tratta di una salsiccia di carne di maiale usando il  budello grosso dello stesso animale, preparata prima e fatta asciugare e stagionare per qualche mese.    

    Oltre all’Aurora, un ruolo importante assume il giorno di Domenica di Pasqua il pranzo pasquale, dolci in prevalenza.

    Fra i dolci consumati in questa grande occasione in primo assoluto c’è la “cassata siciliana”. Inizialmente la cassata era un prodotto della grande tradizione dolciaria delle monache siciliane ed era riservata al periodo pasquale. Un proverbio siciliano recita "Tintu è cu nun mancia la cassata la matina di Pasqua" ("Meschino chi non mangia cassata la mattina di Pasqua").

    La  “picuricchia” , che ancora molte famiglie preparano in casa è fatta della gustosissima pasta reale a base di mandorle; porta il vello bianco in contrasto con il verde dell’erba su cui è adagiato ed è guarnito di confetti. Infilzato sulla schiena, porta un gonfalone rosso, che pur non rappresentando alcun simbolo antico, è ricorrente in diverse manifestazioni religiose; San Giovanni Battista e lo stesso Gesù Cristo risorto ne portano uno in mano.  

    Famosi sono pure “li cassateddi di Pasqua” (ravioli ripieni di ricotta zuccherata e abbondantemente incannellata) che, essendo buoni, si mangiano in abbondanza e alla svelta, tanto che finiscono subito, lasciando qualcuno più lento a bocca asciutta; da qui il detto “e cu n’appi n’appi cassataddi di Pasqua” (chi ha avuto ha avuto ravioli di Pasqua).  

    “Lu campanaru”, fatto in origine di pasta frolla dolcificata, ha la forma di “cucciddatu” (ciambella molto lavorata) con l’uovo sodo colorato posto da un lato. Anche la “minnulata o cubaita” (da kubbat, di origine araba) fatta di zucchero e mandorle o noci o sesamo, continua a far parte della ricorrenza  “pasqualora”. Infine c’è il classico “cannolu”, che viene consumato in ogni occasione, per la sua notorietà e bontà. Nelle tradizioni ebraiche c’era pure un dolce pasquale a forma di colomba.                                  

    L’UOVO NELLE TRADIZIONI POPOLARI  

    Nelle feste religiose si celebra e si rinnova una grande metafora: la fine del tempo, che muore ma che si rinnova con maggiore virilità.  

    Il mistero pasquale ne è il più grande esempio, poiché alla morte segue la resurrezione del Dio Salvatore; quindi l’uovo diventa la rappresentazione pasquale poiché  sin dall’antichità, è stato considerato il simbolo della nascita, della vita, l’origine dell’uomo e della stessa divinità: “omne vivum ex ovo”, dicevano i latini, cioè ogni cosa che vive viene da un uovo. In occasione della ricorrenza pasquale si usava mangiare uova sode colorate; la colorazione ha origini superstiziose, contro le potenze occulte maligne.  

    Quando l’industria dolciaria ha messo in commercio il gustosissimo uovo di cioccolato, si è persa la tradizione dell’uovo dipinto. Così il fidanzato in occasione della ricorrenza pasquale incominciò a regalare  un uovo grande di cioccolato alla fidanzata, facendo mettere dentro dal dolciere un regalo d’oro, comprato per l’occasione.

    Presso gli ebrei era consuetudine consumare uova per il Capodanno; ma quando la Pasqua fu spostata alla prima domenica successiva al plenilunio di primavera, tale usanza si trasferì a questa nuova data.  

    I cinquanta giorni che si succedono dalla domenica di Resurrezione alla domenica di Pentecoste (la discesa dello Spirito Santo), si celebrano nell’esultanza e nella gioia come in un sol giorno di festa, anzi, come la Grande Domenica.

    Una volta questa “Grande Domenica” pasquale si chiamava “Pasqua d’Uovo” perché si festeggiava regalando (e mangiando) uova sode colorate, benedette in chiesa. Ancora oggi nei comuni siciliani di origini albanesi, si regalano uova colorate.

    Durante la scomparsa civiltà contadina, l’uovo rappresentava un mezzo di scambio. Allora circolava poco denaro nelle tasche del popolo e il baratto, specialmente fra le donne che abitavano nei cortili, era molto praticato.

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