Riina se ne è andato insieme con tanti segreti. Non bastano le condanne, serve il riscatto
di: Alessandro Indelicato - del 2017-11-18
(ph. lasicilia.it)
“Il bambino non ha capito niente, perche' non se l'aspettava, non si aspettava niente e poi il bambino ormai non era.. come voglio dire, non aveva la reazione piu` di un bambino, sembrava molle, ... anche se non ci mancava mangiare, non ci mancava niente, ma sicuramente.. non lo so, mancanza di liberta`, il bambino diciamo era molto molle, era tenero, sembrava fatto di burro..., - dichiara il pentito Vincenzo Chiodo sulla barbara uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo - cioe` questo, il bambino penso che non ha capito niente, neanche lui ha capito, dice: sto morendo, penso non l'abbia neanche capito.”
Chissà se il mandante di tale crimine efferato, Totò Riina si è reso conto che la vita abbandonava il suo corpo, in carcere.
Tra quelle mura, da cui i suoi familiari volevano sottrarlo in questi ultimi mesi in cui la sua salute peggiorava. In queste ore, si sono accesi gli animi degli italiani, dai corleonesi additati con un marchio “mafia” che non va via, a tutti i siciliani, parenti delle vittime, autorità e non solo. La sorella del giudice Falcone dichiara: “non gioisco ma non perdono”. Impossibile perdonare per tutte le persone perbene di questa terra, colpevoli solo di essere capitati nel “posto sbagliato” dove per sbagliato si intende l’essere un ostacolo per un obiettivo della mafia.
Dal presidente della Regione, Piersanti Mattarella, fratello dell'attuale presidente della Repubblica, il deputato comunista Pio La Torre, il capo della squadra mobile di Palermo Boris Giuliano, poi il colonnello dei carabinieri Giusepe Russo; il capitano Emanuele Basile; il dirigente di Polizia Beppe Montana, il commissario Ninni Cassarà, il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, tra gli uomini di stato fatti fuori per ordine o mano del “capo dei capi”. Non dimentichiamo le stragi del 1992 in cui persero la vita gli uomini di scorta e i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ma l’elenco è molto lungo. Riina porta con se i segreti della trattativa stato mafia, i segreti di un paese.
Oggi, anche chi in questi anni non ha manifestato dissenso nei suoi confronti lo fa. “Morto un papa se ne fa un altro” per citare un proverbio che ricorre in questo momento, alludendo alla primula rossa della mafia, il latitante Matteo Messina Denaro, mentre si surriscalda l’opinione pubblica a Castelvetrano dopo il sequestro Dia nei confronti di Becchina e le rivelazioni che pare stia facendo il prestanome Grigoli.
Eppur non si vuole fare retorica, bisogna ricordare come diceva Giovanni Falcone che “la mafia è un fenomeno umano”, non è qualcosa di astratto e talmente lontano da non essere arrestato. Ecco, in queste ore i social network sono anche invase dalle foto dei due giudici simbolo della lotta alla mafia, appunto Falcone e Borsellino, ripetendo ancora che “le loro idee camminano sulle nostre gambe”.
Il messaggio che dovrebbe passare non è simile ad un sentimento di odio nei confronti di Riina, quanto di condanna delle sue male gesta. Al resto penserà la giustizia divina. Si dovrebbe pensare a questa terra, al suo riscatto, con fiducia nelle forze dell’ordine e nella magistratura, consapevoli di quanto sia perpetrata la criminalità organizzata. Ma, esistono anche le persone oneste, e in esse risiede il futuro e i germogli per una società migliore.