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"Una cinquina al lotto e la felicità prima della disperazione". Quando il gioco è dipendenza da evitare

del 2017-09-22

Immagine articolo: "Una cinquina al lotto e la felicità prima della disperazione". Quando il gioco è dipendenza da evitare

Fra i miei ricordi di ragazzino c’è anche quello di mia nonna Rosa, mamma di mio padre. Mi raccontavano, sia mio padre sia i miei zii, della sua grande passione per il gioco.

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  • Preferiva quello del lotto e ogni settimana (allora si poteva giocare solo una volta la settimana) si recava a lu putinu, alla ricevitoria di via Giuseppe D’Alessi (vi lavorò anche mio padre in età giovanile prima d’essere trasferita in via Crispi dove, gestione dopo gestione, funziona ancora adesso con le moderne macchinette della “Lottomatica”) per effettuare le sue giocate. Puntava molto sia sull’ambo sia sul terno, senza disdegnare la quaterna e, alle volte, anche la cinquina.

    La scelta di puntare su più numeri dipendeva da ciò ch’aveva sognato durante la trascorsa notte. Si faceva aiutare dall’impiegato della ricevitoria per smurfiari il sogno, la cabala o cabalà o smorfia (l’interpretazione dei sogni). Essendo mio nonno una persona benestante in quanto proprietario terriero (Don Luigeddu, del quale porto con grande orgoglio sia il cognome sia il nome), mia nonna aveva la possibilità di contare su somme non indifferenti.

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  • Mi è stato riferito che riusciva a giocare anche mille lire a settimana, una somma davvero ragguardevole per quei tempi (famoso il brano portato al successo da Natalino Otto che recitava “Se potessi avere, mille lire al mese….”.

    Non scendendo troppo nei particolari, riuscì a poco a poco a dilapidare tutto il patrimonio del marito creando delle serie difficoltà a tutta la famiglia. Mio nonno fu costretto a vendere le terre con la conseguenza di non riuscire più a garantire ai propri figli lo stesso tenore di vita di prima.

    Un bel giorno mia nonna, dopo anni di tentativi andati a vuoto a parte qualche ambo, indovinò una cinquina vincendo una notevole somma di denaro con la quale ricomprò tutte le terre vendute in precedenza. Quello, purtroppo, fu l’inizio della fine.

    La stessa, forte della vincita, ricominciò a giocare con più foga di prima fin quando fu costretta a rivendere le terre del marito, nel frattempo deceduto, dilapidando nuovamente tutto e riducendosi sul lastrico. Non racconto cosa hanno dovuto patire sia mio padre sia i miei zii per riuscire, dopo tanti anni di sacrifici, a risalire la china e riportare la condizione di ciascuna delle proprie nuove famiglie a una situazione di decoro sociale. Dopo questa tragica esperienza nessuno nella mia famiglia, intesa in senso lato come progenie, ha l’abitudine di giocare in alcuna forma tentando la fortuna.

    Tutta questa lunga introduzione per affrontare un discorso molto serio e delicato, la ludopatia o azzardopatia, un disturbo diagnosticato come un mancato controllo degli impulsi, una dipendenza comportamentale o tossicodipendenza se si vuole estremizzare il problema.

    Uno dei motivi che inducono la persona a interessarsi al gioco d’azzardo è sicuramente la depressione, malattia molto infida alla quale spesso non si dà quell’attenzione che meriterebbe. La persona, per sfuggire alle ansie della vita, si rifugia in un mondo che fa proprio nel quale cerca quelle soddisfazioni che gli sono state negate dalla vita stessa.

    L’illusione di potere vincere per cambiare totalmente il suo stato esistenziale la rende euforica. Essa ci crede. La sua convinzione è tale da non concentrarsi sui problemi del vivere quotidiano, dimentica di qualsiasi affetto o appartenenza sociale. La sua voglia, quel desiderio sfrenato di dare una svolta decisiva al suo percorso vitale è più grande di qualsiasi sentimento d’umana percezione della realtà.

    Alla crisi esistenziale segue, ineluttabilmente, una crisi familiare ed economica con la probabile perdita del lavoro, per sfociare in uno stato di salute estremamente precario e pericoloso che spesso può indurre all’atto estremo, il suicidio.

    Il vortice che si sviluppa attorno alla persona coinvolge tutto e tutti e, se non s’interviene in tempo, trascina ogni cosa al fondo del nulla. Dal gioco passivo, peggio di quello del fumo, sono travolti tutti: coniugi, figli, nipoti, parenti, amici, colleghi e datori di lavoro.

    La mia domanda spontanea è: cosa fa lo Stato per combattere questo dilagante fenomeno? Qualcuno istintivamente sarebbe indotto a rispondere “Nulla”. Sbagliato! Lo Stato interviene, e come se interviene! Come? Aumentando i giochi, diminuendo i tempi settimanali di puntata, da uno alla settimana a due e anche a tre volte, fomentando il gioco d’azzardo patologico non curandosi minimamente dei problemi a esso connessi.

    Sui mass media, nei vari talk show dove intervengono uomini politici, ci è riferito che lo Stato incassa miliardi dal gioco d’azzardo. Incassano anche i detentori delle famigerate macchinette mangiasoldi, le slot machine o Awp, come bar e tabaccai coi famigerati “Gratta e Vinci”, le scommesse sportive e simili. Incassano le sale da gioco come il “Bingo”, le ludoteche, i casinò anche online con le loro vecchie roulette e i moderni black jack. Incassano tutti, alla faccia di chi si rovina e di chi muore.

    Il fenomeno è altamente evolutivo ed espansivo a causa della sua diffusione anche nel web. Qualcuno, però, ha mai calcolato i danni correlati a questo fenomeno di massa a fronte dell’ipotetico guadagno da parte dello Stato? Simili situazioni causano allo stesso Stato, quindi alla collettività, perdite ben superiori ai guadagni, in quanto esso dovrà farsi carico, attraverso il Ministero della Salute, di garantire le cure alle vittime, dirette e indirette che siano, di questa vera e propria piaga sociale.

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