Capaci, il paese tristemente ricordato per la strage del giudice Falcone
di: Mariagrazia Cardinale - del 2017-10-14
A distanza di venticinque anni, Capaci porta il peso di un evento tragico, quello della strage del giudice Falcone. È il primo pensiero che viene soprattutto a chi non è capacioto, ma gli abitanti del paese saranno mai in grado di riscattarlo e di renderlo un luogo simbolo di pace?
Il 23 maggio 1992 è una data che tutti non dimenticheremo mai. È il giorno in cui sull’autostrada Palermo- Punta Raisi, nei pressi di Capaci, persero la vita il giudice Falcone, la moglie e la scorta. Nella memoria di chi era già nato quel giorno suscita ancora dei ricordi indelebili, come se il fatto fosse accaduto solo qualche giorno fa.
Io non avevo ancora compiuto il primo anno d’età, ma mia madre mi racconta sempre che noi quel giorno, era un sabato con il cielo cupo e c’era lo scirocco, eravamo a casa e lei mi stava dando da mangiare quando, all’improvviso, si sentì un grande boato che fece tremare i vetri delle finestre e, subito dopo, accendendo la tv, i telegiornali diedero la notizia dell’uccisione del giudice.
C’è chi invece si trovava in piazza al bar e sentì il rumore dell’esplosione in lontananza e delle prime sirene.
La gente mormorava di un’esplosione della cementeria, che si trova nella vicina Isola delle Femmine, o addirittura di un camion che trasportava benzina o del crollo del ponte dell’autostrada. C’è chi ha visto le condizioni dell’autostrada, quando ancora non erano arrivati i soccorsi; c’erano le macchine coinvolte nell’esplosione, piene di detriti sul tetto e la gente presente urlava d un’altra bomba che sarebbe esplosa di lì a poco.
C’è chi ancora era un bambino e si trovava a casa con la sua mamma e la nonna, preoccupate per il padre che ancora non era rientrato in casa, e ricorda il rumore degli elicotteri che si dirigevano verso l’autostrada.
O chi invece si trovava in un lido vicino al luogo della strage e ha sentito quel boato in maniera chiara, provando paura perché non capiva cosa fosse accaduto realmente. Negli occhi innocenti di chi era un bambino, c’era la certezza che fosse successo qualcosa di grave, la morte di una persona importante, notizia che avrebbe appreso a ora di cena, guardando la tv. Da quel giorno, il mio paese si porta addosso il “fardello” di quella strage.
A distanza di venticinque anni, quando qualcuno mi chiede da dove vengo e io rispondo “Capaci”, il primo pensiero che si ha è proprio quello dell’evento tragico. I sentimenti che provo inizialmente sono quelli di rabbia perché si è ingiustamente infangato il nome di un tranquillo paese, ma poi “Pazienza”, penso, “in fondo è una data che non si può cancellare, ma solo ricordare perché la vittima era una persona giusta, che ha compiuto il proprio dovere, servendo lo Stato nel quale egli credeva fortemente.
Da allora le coscienze dei capacioti, ma anche dei palermitani e dei siciliani in generale, si sono smosse e si ha la consapevolezza che quel giorno deve essere un monito per tutti. Nelle scuole, ogni anno si parla della tragedia, si organizzano manifestazioni in piazza, con tanti bambini che recitano poesie o cantano; altri organizzano “pellegrinaggi” nella montagna dove oggi compare la casetta “NO MAFIA”, poiché quello è il punto esatto dove è stato premuto il tasto del telecomando che ha fatto esplodere il tritolo.
A proposito di questo dettaglio, nel film “La mafia uccide solo d’estate” di PIF, c’è la famosa scena del condizionatore. Totò Riina viene comicamente rappresentato come una persona che non capisce nulla di tecnologia, confondendosi con i tasti della temperatura fredda e calda. La scena prende una piega amara quando in tv appaiono le immagini di Falcone e Borsellino e lui capisce poi “come funziona un telecomando”.
Altri invece si recano sul luogo della strage, oggi diventato il Giardino della Memoria, rinominato “Quarto Savona Quindici”, dove, negli ultimi mesi, sono stati piantumati alberi di ulivo in ricordo delle vittime della mafia. Un piccolo dettaglio da non trascurare è che questo giardino si trova nel territorio della vicina Isola delle Femmine e, dunque, teoricamente, così come qualcuno fa notare, la strage non è proprio avvenuta a Capaci, ma nel paese accanto. Dico che non è un dettaglio da trascurare perché una parte di capacioti di oggi muove delle polemiche su questo argomento.
“Perché chiamarla strage di Capaci se è successo a Isola?” oppure “Perché dobbiamo accollarci noi la strage e Isola si prende i meriti delle manifestazioni?” sono le domande che si sentono ogni anno, quando si avvicina quella data. Forse è solo ignoranza, forse è solo stanchezza, perché l’altro pensiero che emerge è che la tragedia alimenta solo il guadagno di qualcuno e che le cerimonie organizzate sono solo apparenze e nulla, in fondo, è cambiato.
Poco importa dove il fatto sia accaduto “territorialmente”, è invece importante non dimenticare e rendere la giusta memoria al giudice. È una diatriba che continua da sempre, e forse si protrarrà nel tempo. Noi capacioti, di certo, alimentando queste sterili polemiche, non aiutiamo il nostro paese a liberarsi da questo “peso”.
La speranza è che un giorno Capaci possa riscattarsi. Non più un luogo simbolo di morte, di una efferata violenza, ma un luogo ricordato per la sua storia, per le sue tradizioni, per le sue bellezze artistiche e paesaggistiche, un luogo dove “qui c’è la pace” (il termine Capaci probabilmente deriva da Cca-paci, “qui la pace”, nome attribuito al territorio, come vuole una leggenda che la lega ad Isola delle Femmine). Ma questo ovviamente dipende dai suoi abitanti.
Saranno, anzi saremo, mai in grado di farlo diventare il simbolo del riscatto civile?