Storia del castello di Bigini, sottratto al territorio di CVetrano e aggregato a Partanna nel 1846
di: Vito Marino - del 2018-03-20
Secondo il Ferrigno, scrittore e ricercatore castelvetranese, il castello di Bigini si erge a circa 5 KM ad Est di Castelvetrano e a m. 258 sul livello del mare. Sorge su un vasto territorio che una volta era un feudo e che ha dato il nome al castello. Alcuni vogliono che sia di origine saracena; infatti la sua antichità è riconoscibile dalla sua struttura, che fu modificata nel 1540 dal suo nuovo padrone il mazarese Antonino da Ponte. Ma Gian Giacomo Adria in “De Valle Mazariae et laudi bus Siciliae” nel 1540 scrive: “Castrum Bigini factum norite a domino Antonino De Ponte”.
Il castello, che sorge nelle vicinanze delle sorgive e conserva ancora la facciata medievale merlata, fu costruito in una zona circondata da tracce di insediamenti umani, con tombe corredate di ceramica campaniforme, risalenti al II millennio a.C.
Tommaso Fazello, uno scrittore di Sciacca del 1500, nel 1558, nei suoi scritti menziona una sorgente affluente del Modione, che nel passato forniva acqua all’antica Selinunte. Lo stesso scrittore accenna ad una fortezza. La zona, infatti, è ricca di sorgive di ottima acqua potabile, di cui l’antica Selinunte e, dai primordi del secolo XVII in qua provvedono Castelvetrano.
Il castello, secondo Varvaro Bruno, un altro scrittore e ricercatore di Partanna, ospitò nel 1575 una sezione della Santa Inquisizione, con dieci ufficiali, tra laici e secolari.
Con atto dell'11 settembre 1652, in notar Pietro Graffeo, tutto il territorio, esteso salme 334, pervenne per onze 10.400 al collegio gesuitico di Salemi, che nel 1680 restaurarono la torre ed eressero una cappella, per celebrare la messa, per i contadini del circondario.
Ancora secondo quanto scrive Varvaro Bruno, nel 1663 è presente a Bigini una delle tre confraternite fondate a Salemi dai Gesuiti, ossia la Congregazione segreta sotto il titolo del Crocifisso o di Maria Addolorata, ivi portata da un tal padre Filippo Zappia da Caltagirone.
Dopo l'espulsione dei Gesuiti. avvenuta nel 1767, le terre di Bigini furono concesse a moggia (cioè ad enfiteusi quotizzata, ovvero a piccoli appezzamenti) a 48 contadini di Castelvetrano: tale concessione fu però annullata affinché le terre fossero date "a veri villani anziché agricoltori di campagna". Si pervenne dunque ad una nuova concessione a 481 “villicis diurnis et rusticanis operaiis”.
Nel 1846, l'ex feudo di Bigini, assieme a quelli di Ciafaglione e Donzelle, fu sottratto al territorio di Castelvetrano e aggregato a quello di Partanna, come da decreto del 31 dicembre 1845 di re Ferdinando Il di Borbone, in cui curiosamente il toponimo Bigini è trascritto "Riginé".
In seguito, la zona del castello e le adiacenti sorgenti pervennero in proprietà al barone Favara di Partanna, che nel giugno 1882 le vendette al comune di Castelvetrano al quale a tutt'oggi appartengono.
In quella occasione, come scrisse il Salinas, la civica amministrazione provvide a far ripulire la vasca moderna, "la quale in seguito a questo sgombro si trovò essere sovrapposta ad una grande vasca circolare di opera classica: e poscia a guadagnare altra acqua, sgombrava un acquedotto che andava più su alle così dette “sorgive antiche”. Dagli scavi nell’antica vasca furono trovate lucerne, di cui alcune del cristianesimo primitivo, e monete dell’alto e del basso impero.
Del vetusto castello, ai giorni nostri, è riconoscibile soltanto il fronte di una torre merlata; mentre nelle immediate vicinanze si conserva l'antica vasca selinuntina.
Il sito, per la sua importanza meriterebbe una adeguata attenzione anche per le varie emergenze di ingegneria idraulica, resta tuttavia abbandonato.