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Il fiume Modione e i 14 mulini castelvetranesi in funzione fino al 1915

di: Vito Marino - del 2018-04-08

Immagine articolo: Il fiume Modione e i 14 mulini castelvetranesi in funzione fino al 1915

Il territorio di Castelvetrano è attraversato da tre fiumi: Belìce, il più importante, Modione e Delia.

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  • Il MODIONE (l’antico Selinon)  nasce da contrada Tre Serroni nel territorio di Santa Ninfa e riceve altra acqua in contrada ex feudo Favara (dall’arabo Fawara = sorgente) e sbocca ad ovest dell’acropoli di Selinunte, con un percorso di circa 32 Km.

    I MULINI AD ACQUA: L’azione meccanica prodotta dallo scorrere di un corso d’acqua, condotto alla ruota del mulino tramite opportuna canalizzazione, fa girare un’asse che può essere utilizzato per molteplici usi artigianali, come la molitura dei cereali, il funzionamento delle segherie, telai industriali, lavorazione di metalli, pompe idrauliche, per produrre elettricità, ecc.

    Il suo uso, conosciuto in Europa fin da tempi molto antichi (è descritto nel Trattato d'architettura di Vitruvio nella seconda metà del I secolo a.C.), è antecedente all'utilizzo del mulino a vento. La Sicilia, zona agricola produttrice di grano utilizzava il mulino ad acqua, per ridurre il grano in farina.

    Tecnicamente, durante la molitura agiscono due “mole” (grandi ruote di pietra): “la petra suprana” (la superiore), che  gira lentamente sopra “la petra suttana” (inferiore).

    La sua origine risale agli anni mille, quando le comunità musulmane presenti nel territorio ne incominciano le prime costruzioni (il nome del mulino Guirbi è di origini musulmana e dovrebbe essere il più antico) e raggiungono il massimo della loro importanza nel 1500 – 1600.

    Nel passato, il fiume Modione forniva abbastante acqua per alimentare, nel solo territorio di Castelvetrano, i seguenti 14 mulini: Staglio, Terzi, Guirbi, San Giovanni, Messerandrea (Messer Andrea), Mezzo, San Nicola, Mulino Nuovo o Mulinello (sul rio Chiofalo), Molinazzo (distrutto), Paratore, Mangogna, Errante, La Rocca, Garofalo e Garibaldi. Questi mulini, per secoli, a iniziare dalle comunità musulmane hanno consentito la molitura dei grani autoctoni  che ancora oggi ci forniscono il nostro prodotto enogastronomico di eccellenza: il pane nero di Castelvetrano.

    Il canonico Vivona, parlando del Modione, nel 1805 così scrive: <>.

    Come se non bastassero, dentro la cerchia urbana esistevano diversi altri mulini, di minore importanza mossi da animali da soma.

    Per una città relativamente piccola come Castelvetrano, il loro numero esagerato era un indice di grande produzione di grano; ma i mulini  servivano anche per la macina del grano prodotto da altri paesi vicini della Valle del Belìce. Nella scomparsa civiltà contadina si faceva grande consumo di pane e pasta, che erano i soli alimenti considerati indispensabili per l’alimentazione; la carne, la frutta e i dolci erano considerati alimenti voluttuari da consumarsi nelle feste ed in qualche ricorrenza particolare. Questo giustifica in parte la presenza dei numerosi mulini esistenti nel territorio. Mussolini, consapevole di questa tradizione, volendo attuare una politica autarchica, ha incentivato al massimo la produzione del grano.                             

    La Castelvetrano cinquecentesca, governata dai principi Tagliavia attraversò un periodo storico particolarmente fiorente, con un “boom economico”, per come l’avremmo meglio definito noi contemporanei, provocato dalle buone condizioni di produzione e prezzo del grano, che allora aveva molto più valore del petrolio dei giorni nostri.

    I Borboni per proteggere i produttori e mantenere il prezzo del grano imponevano dei dazi protettivi sulle importazioni dall’estero di questo cereale. Ad iniziare dal 1817, con la nuova costituzione imposta dagli inglesi durante il loro protettorato, l’orientamento economico liberista aveva permesso l’ingresso nel Regno di grano russo a prezzi molto più bassi di quelli nazionali. Per i produttori di cereali siciliani e meridionali, la perdita di profitto e il malcontento erano stati veramente notevoli.

    A Castelvetrano i mulini ad acqua continuarono a lavorare fino al 1915 circa, quando con l’arrivo della corrente elettrica subentrarono gradualmente i mulini con motori elettrici, più pratici e più veloci. Intorno al 1950, da quello che ricordo, c’erano i seguenti mulini a motore elettrico: quello di Carta (a cilindri) in Via Quintino Sella, quello di Inzerillo nella zona di "sutta l'ortu" (Via Rossini), quello di Caleca, posto in Via F: Filzi ; un altro (a palmento) posto in Via IV Aprile, di un certo Luciano Mistretta, il mulino di Ciaccio, in fondo alla Via R. Pilo. Una volta la Via Nicolò Garzilli era chiamata "la strata di la mola" (sicuramente c'era un altro mulino), il mulino di Messina (inteso ciollino) in Via Castelfilardo e quello di Andrea Gambino in Via San Martino 23.

    Questi mulini hanno soppiantato i mulini ad acqua, ma a loro volta sono stati superati dai mulini industriali del Nord e dalle cambiate condizioni di vita della popolazione con minore consumo di pane e pasta.

    I mulini ad acqua, ormai superati dalla tecnologia restarono in balia a se stessi  e dei vandali, il tempo malvagio ha completato la sua opera distruttrice. Ormai restano soltanto dei ruderi, che tuttavia potrebbero servire come testimonianza di un itinerario culturale – turistico, che i nostri amministratori non si sognano nemmeno di progettare.

     

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