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Quando nel 1918 molti salemitani partirono in guerra direzione Albania. Giuseppe Lodato ricorda la "grande guerra"

del 2018-10-29

Immagine articolo: Quando nel 1918 molti salemitani partirono in guerra direzione Albania. Giuseppe Lodato ricorda la "grande guerra"

D'amore, nella casa di nonna Pina di certo non ne mancava, erano solo le ore e i giorni che scorrevano lenti, troppo lenti. Da quel giorno maledetto, in cui Ciccio era partito per la grande guerra tutto infatti, era rimasto fermo, privo di vita, ma non di speranza.

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  • Persino la "attaredda", che non aveva mai fatto mancare i suoi dispetti sembrava perennemente "addummisciuta", se ne stava vicino la "tannura" della nonnina e pure il gomitolo di lana, che la " vicchiaredda" faceva "arrutuliare" a terra, aveva perso interesse.

    Di "cuasette" ne aveva completate a decine da quando il nipote era partito, l'unico suo passatempo era questo; le appaiava, le "sarvava" nei "casciuna" e quando li richiudeva, "suspirava" e chiudendo quei suoi grandi occhi blu immaginava e sperava che magicamente Cicciuzzu li potesse usare per riscaldarsi e per non patire più il freddo. 

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  • "Eravamo nel gennaio del 1918 e tanti furono i salemitani che due anni prima vennero costretti a fare quel viaggio, direzione Albania , a Ciccio toccò la Città di Valona che con il suo porto  costituiva uno snodo strategico." 

    La nonna, donna dalla fede incrollabile, non c'era volta che dalla Chiesa di Sant'Antonio sentisse  il rintocco delle campane che le sue labbra  non pronunciasse il "Siquaeris Miracula" o il "Pater Noster" quando sentiva suonare quelle della Chiesa del Crocifisso. Loro abitavano proprio in mezzo alle due Chiese e lei, sapendo che custodivano il Ss Sacramento era certa che "Gesuzzu attentava" le sue "priere". 

    Il tempo trascorreva e quel giorno era " Joviri rassu" di grasso però in quegli anni c'era ben poco e ancora meno era quello che c'era da mettere sotto i denti. In casa oltre al figlio e alla nuora vivevano anche un "murvusu"  di  tre anni e un "mucciusu" di dieci, e quindi anche se la tristezza quella vera si percepisce ed è nell'aria, i sorrisi ed i giochi non dovevano mancare ai più piccoli.

    Quel giovedì, era un giorno che il "mucciuso" aspettava, perché la nonna si trasformava quasi in una presentatrice di quelli che oggi definiremmo quiz e proponeva li "nimina" cioè degli indovinelli che potevano alludere anche a cose che lei definiva " sporche" , ma che oggi fanno solo sorridere. 

    "Luigi l'avi davanti, Pasquali l' avi d'arrè. Soccu è? 

    Il nipote dopo tanti tentativi falliti si arrendeva e la nonna felice dava la risposta che in questo caso era la "L"; questa soluzione tanto attesa fece dopo mesi ridere e coinvolse tutti. Il tempo si era "manciatu" altri due mesi, tanto da ritrovarsi nel mezzo delle processioni notturne , che venivano organizzate non dalle Confraternite di cui Salemi era piena ma dai  "puvureddi".

    Ogni notte, per le dieci notti che precedevano il tre di maggio, contadini e operai, con lanterne o semplici ceri e lumini tra le mani, snodavano in processione "niscennu" dalla Chiesa del Crocifisso e percorrendo ogni sera  una campagna diversa, alla testa della processione il Ss Sacramento  che benediceva le  campagne, i raccolti e i presenti; dopo circa tre ore di camminata  si faceva rientro in Chiesa per la "missicedda" Chi non partecipava sentiva in lontananza canti, preghiere e litanie; vedeva da lontano le luci dei lumini che accendevano le campagne, riscaldavano la notte e avvicinavano a Dio. 

    "La Tò vita 'ncruci finìu, ma a tri jorna lu Tò corpu alliviscìu. Campasti e muristi comu tutti li criatùri, tuttu facisti pi lu nostru amùri."  Quelli furono giorni sereni, che culminarono con la processione di "Cristu 'ncruci" e la "cursa" dei cavalli, per vederla bastava "affacciarisi" dalla porta e lu "zaccanu" era tutto   "na la Scinnuta di lu Signuri". 

    I mesi successivi  passarono tra "spicchiari" fave, piselli e carciofi, tra "trasiri e nesciri" dal balcone fichi e pomodori, e a "spinnari" qualche rara volta, qualche gallina che non dava più uova.  L'unica cosa per cui ricordare quella estate "sciruccusa" fu l'arrivo di "lu pusteri" con una "littra" dal fronte; Ciccio salutava tutti e riferiva che stava imparando il mestiere dell'infermiere, che "scippava" pure i denti e che si trovava ad operare nell'ospedale militare di Valona. 

    "Zezzilè, zezzilè  Re di Napuli nun ci n'è, ci n'è unu chi è di stuppa, veni l'aceddu e ti caca 'mmucca."  La nonna con il piccolino a cavalcioni sulle gambe ripeteva quella filastrocca decine e decine di volte "annacannulu" su e giù fino allo sfinimento delle forze; non del piccolo, ma della nonna. 

    Questo era il gioco più amato in assoluto da tutti e tre i fratelli, che la nonna faceva fino a  quando non crescevano di peso e diventava  impossibile metterseli  " 'ncoddu". Ma quel 23 dicembre non fu lei a finire l'ultima parte della cantilena, perché di spalle, qualcuno  le coprì gli occhi,  le sfiorò teneramente la fronte e le sussurò  all'orecchio:   

    "Veni Cicciuzzo e ti vasa 'mucca."  Lascio a voi tutti immaginare cosa possa essere stato per tutti loro quel momento; che si ricordi,la famiglia di nonna Pina non visse  mai un Natale più felice di quel 25 Dicembre 1918.   

    Tra qualche giorno saranno trascorsi 100 anni dalla fine della grande guerra,questo racconto vuole essere un pensiero rivolto verso  tutti quei ragazzi che hanno dato la vita per il nostro tricolore,e a tutti  i feriti nel corpo e nell'anima, per la nostra Italia. 

    Testo, versi e cartoline tratte dal libro : "Salemi... viaggio in un passato impresso in cartolina" di Giuseppe Lodato

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