L'emigrante tra politiche migratorie, discriminazioni e culture diverse
di: Luigi Simanella - del 2019-03-21
Volevo fare una riflessione sul fenomeno vecchio, ma sempre attuale, dell’emigrazione. La storia c’insegna che i popoli non sono stanziali, ma nomadi. La stessa Bibbia, il libro per eccellenza, ci racconta che il popolo di Dio cominciò la sua storia con un esodo di massa. Sotto la guida di Mosè si spostò, a piedi, dall’Egitto sino a quella terra promessa, la Palestina, che il Padre Eterno gli aveva destinato.
Tanti altri spostamenti di masse umane hanno caratterizzato le varie epoche storiche, volontari o dovuti a fatti non dipendenti dalla propria volontà come: le guerre determinate spesso da conflitti etnici alimentati dall’odio e dal razzismo, le carestie e le epidemie, eventi sismici e cataclismi in genere, la sovrappopolazione, la fame e la povertà più assoluta.
L’emigrante diventa un profugo, un esule, un rifugiato che teme d’essere personalmente perseguitato nel paese d’origine per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un gruppo sociale o per le proprie opinioni politiche. Egli viaggia da un luogo all’altro, da una città all’altra, da uno Stato all’altro, da un continente all’altro. Si sposta per, poi, magari fare ritorno nel posto natio.
Un tipo d’emigrazione di cui si parla molto in questi giorni è quella politico-economica: persone che vivono nella continua ricerca di condizioni di vita più favorevoli. Molte genti di diversa nazionalità, preferiscono lasciare il proprio paese, la propria famiglia per cercare una vita migliore che possa garantire loro degli standard che ad altri, più fortunati, sono concessi.
L’integrazione non sempre è facile, poiché risulta complicato riuscire a coniugare il proprio passato con un presente che non avrebbero voluto. Questo poiché l’emigrante tende a regolarsi continuando a seguire le proprie regole di vita, le proprie abitudini, gli usi e i costumi che conduceva in precedenza. Egli mal digerisce il diverso modo d’intendere la vita e le leggi del paese che lo ospita. Ecco perché è definito anche extracomunitario, poiché rimarrà sempre qualcuno che appartiene a un’altra comunità e che non sempre s’adopera per un processo integrativo di multietnicità e di multiculturalità. Non è un problema di colore della pelle: bianca, mulatta o nera se caratterizzata da una più o meno eccessiva pigmentazione cutanea.
Tanti scrittori, poeti, letterati e uomini di cultura hanno disquisito sull’argomento, scrivendo pagine su pagine di commenti e quant’altro. A me piace ricordare solo una semplice, ma incisiva e toccante, poesia di Gianni Rodari, “La valigia dell’emigrante”, che ben disegna la condizione di chi sposta il proprio corpo da un’altra parte, ma lascia il cuore e la mente nei luoghi in cui è nato: “Non è grossa, non è pesante la valigia dell’emigrante…C’è un po’ di terra del mio villaggio per non restare solo in viaggio… Un vestito, un pane, un frutto, e questo è tutto. Ma il cuore no, non l’ho portato: nella valigia non c’è entrato. Troppa pena aveva a partire, oltre il mare non vuol venire. Lui resta, fedele come un cane, nella terra che non dà pane: un piccolo campo, proprio lassù… ma il treno corre: non si vede più”.