Il COVID19 "ferma" anche l'Aurora. Era il 1660 quando partiva la tradizione che emoziona i cvetranesi
di: Giovanni Modica, ex orologiaio - del 2020-04-07
(ph. Baldassare Genova)
Inizia oggi la settimana santa, che non seguirà i consueti diktat nello svolgimento delle tradizioni religiose, a causa delle disposizioni derivanti dall'emergenza sanitaria in corso. A Castelvetrano, non si svolgerà, dunque, il rito dell'Aurora domenica mattina.
Tuttavia, in funzione di quanto tale tradizione sia sentita nel nostro territorio, la redazione di Castelvetranonews riproporrà, così come abbiamo fatto dal 2018, a partire dalle ore 9, il video dell'evento dello scorso anno.
Di seguito, ripubblichiamo il ricordo storico del rito del signor Modica, ex orologiaio, scomparso qualche anno fa.
La prima volta che venne celebrata l’Aurora a Castelvetrano, fu nel 1660 ad opera del Padri Carmelitani Scalzi, che abitavano nel convento attiguo alla Chiesa di San Giuseppe, diroccato nel 1968. Questa funzione, che tutti i lettori conoscono, era caratterizzata dal fatto che arrivavano molte famiglie con i carretti addobbati a festa e calessi da Partanna, Campobello, Santa Ninfa.
Le persone sedute erano molto colorati nel vestiario, probabilmente per attirare l’attenzione dei castelvetranesi. L’Aurora si svolgeva nell’antichità di buon mattino e partecipavano, data l’ora, solo persone adulte, ecco perché si chiamava l’Aurora.
Poi per dare la possibilità ai bambini di assistere alla festa religiosa, gli organizzatori la spostarono alle ore 9. Gli organizzatori erano i proprietari dei giardini (li siniari), i bottai e falegnami. Per far comprendere l’importanza di questa Festa quando si prendeva moglie, soprattutto nei centri vicini, si scriveva nell’atto nuziale l’obbligo del marito di condurre la sposa il primo anno a vedere l’Aurora a Castelvetrano.
Ogni sette anni l’Aurora invece si svolgeva nella via Ruggero Settimo per dare la possibilità alle monache di clausura che abitavano all’interno del Convento dell’Annunziata (Badia) di potervi assistere. Il 18 aprile del 1813 questa funzione ebbe un’attrazione speciale per la presenza a Castelvetrano di sua Maestà la Regina Maria Carolina d’ Austria e del figlio 23enne il principe Leopoldo che assistettero all’evento dal balcone sopra l’arco di Palazzo Pignatelli.
In questa occasione la statua della Madonna venne restaurata dal pittore palermitano Vito Miceli, con un impegno economico ratificato con atto del 17 marzo del 1813 del Notaio Castelli. Il 28 marzo 1717 per una banale errore del sacrista di San Giuseppe che suonò le campane il sabato prima di quelle della Chiesa Madre l’arciprete Giglio non autorizzò lo svolgimento dell’Aurora.
Ci furono animate discussioni tra il comitato e l’Arciprete ma non ci fu nulla da fare. Gli organizzatori allora, quelli della Confraternita si recarono in fretta e furia a Mazara per incontrare il Vescovo e farsi dare da l’autorizzazione.
Pare che la famosa frase “si l’Aurora ‘un si fa, si la pigghia Trapani” fu pronunciata in quella circostanza. E da allora qualunque siano stati i motivi ostativi, l’Aurora si doveva svolgere. Infatti nel 1968, anno del terremoto per paura di perdere la tradizione la funzione religiosa si svolse in piazza Garibaldi a mezzo giorno circa e c’erano circa venti persone.
Il rito per i castelvetranesi, organizzato dalla Confraternita di San Giuseppe, è molto sentito e migliaia sono le persone che vi assistono e sicuramente l’incontro tra la Madonna e Cristo risorto è molto commovente, soprattutto quanto la Madonna lascia cadere il fazzoletto e il manto nero e dalla corona che ha in testa volano gli uccellini. Poi la processione e lo scampanio dei sacri bronzi.
Fino a quando organizzava l’apparaturi Vaiana era bello vedere delle colombe di cartone scorrere su fili di acciaio collocati tra la Società Operaia e la Chiesa del Purgatorio, proprio nell’occasione dell’incontro tra la Madonna e Cristo Risorto e i bambini alzavano tutti gli occhi al cielo Molti anni fa le famiglie portavano in processione le figlie in età da marito, vestite di bianco ed era un’occasione per organizzare magari poi “lu zitaggiu”.
Dopo la fase del corteggiamento alla quale seguiva “l’appalurata” e lu zitaggiu ufficiale. L’indomani di Pasqua bisognava andare a fare baldoria. Per Pasquetta oltre che a Marinella si andava alla Trinità in quanto vi abitavano dal 1392 all’interno di un Convento dei monaci benedettini che accoglievano le persone e davano loro da mangiare.
Non mancava nell’occasione della Pasquetta il gioco della “ bozzica”, quella corda tra i due alberi che lasciava dondolare grandi e piccini Verso il 1523 essendo le famiglie aumentate, i monaci non riuscirono a soddisfare le esigenze dei gitanti e da allora ogni nucleo si organizzò per arrostire qualche cosa, spesso carciofi e mangiare il dolce tipico “li campanara” con le uova sode colorate o “li vaccareddi”.
Non mancava le famiglie benestanti, che come dolce, si regalavano gli agnellini fatti di mandorle o uova di cioccolata. I fidanzati allora facevano mettere come sorpresa nell’uovo anche anelli di fidanzamento ufficiale e qualche oggetto d’oro.