Quando a Cvetrano non c'era ancora il Cimitero e c'erano i carnai. Ecco cosa succedeva nel 1700
di: Vito Marino - del 2020-11-01
Durante il paganesimo, le sepolture erano poste fuori delle mura della città, quindi lontano dei vivi, con iscrizioni sulle lapidi marmoree per individuare la persona. Inizialmente il Cristianesimo non ammetteva le sepolture nei templi, ma nel Medioevo avviene una inversione di tendenza: le sepolture diventarono anonime e collocate “ad sanctos et apud ecclesiam” (vicino ai santi e attiguo alle chiese o nel chiostro), quindi vicino ai vivi.
C'era la concezione che, più la sepoltura era vicina all'altare, più era valutata, perché più vicino al paradiso; per tale scopo il clero e la nobiltà riuscirono a farsi seppellire sotto il pavimento delle chiese, mentre i poveri erano letteralmente buttati nelle fosse comuni.
Si trattava di buche profonde in genere sei metri, che si trovavano nel recinto esterno e attorno alle mura della chiesa, e capaci di ospitare anche 700 cadaveri. Queste fosse comuni erano appena coperte da assi di legno, che lasciavano sprigionare brutti odori, che infettavano l'aria. Periodicamente le fosse si svuotavano delle ossa, che venivano poste negli ossari.
Le iscrizioni sulle lapidi tombali ricompariranno solo nel XIII secolo, anche se limitate ai personaggi illustri. Bisognerà attendere il Cinquecento perché si diffonda l'uso delle targhe murali, per ricordare il nome dell’individuo sepolto e il suo mestiere.
Con l'ampliarsi delle città e quindi del numero dei defunti e in occasione di epidemie (come la peste nera già nel XIV secolo) che rendevano necessari ampi spazi, la sepoltura in chiesa o nel ristretto spazio attorno, non sono stati più sufficienti.
Il cimitero moderno doveva necessariamente tenere conto principalmente dei problemi di igiene pubblica, poiché all’epoca le chiese erano luoghi affollati e ospitavano perfino mercati e le sepolture erano precarie.
La Francia diventerà il paese-guida nel rinnovamento delle tradizioni cimiteriali. Già nel 1737 il parlamento di Parigi ordina una inchiesta medica sull’igiene dei cimiteri. Nei quartieri vicini ai cimiteri si fanno petizioni per allontanare le tombe, rivendicando la difesa della qualità dell’aria dai “vapori sgradevoli”. Tuttavia, per interessi economici le chiese continuano a seppellire morti anche durante le messe, in luoghi ristretti ed affollati con il rischio di infezioni e contagi.
Finalmente, un decreto del Parlamento di Parigi del 1763 vieta la sepoltura nelle chiese e prevede la creazione fuori città di otto grandi cimiteri parrocchiali con fossa comune, ma le reazioni clericali bloccheranno l’attuazione del provvedimento. Passeranno pertanto quasi vent’anni prima che il decreto parlamentare entri in attuazione.
Nel 1785, si procede alla distruzione definitiva del cimitero degli Innocenti, che si trovava in pieno centro cittadino, con la trasformazione del vecchio luogo di sepoltura in una piazza. A poco a poco tutta l’Europa attua le stesse misure.
Le prime a vietare le tumulazioni nelle chiese sono le leggi mortuarie asburgiche, emanate nel 1743 dai sovrani di Austria-Ungheria, Maria Teresa e Francesco Stefano d’Asburgo—Lorena. In Spagna nel 1787 Carlos II vieta le sepolture nelle chiese e ordina di costruire cimiteri all’esterno delle città.
Infine, fu emanato il celebre editto napoleonico di Saint Cloud, che derivava in parte da preoccupazioni igieniche e in parte dallo spirito egualitario propagato dalla Rivoluzione Francese. Promulgato in Francia nel 1804 ed esteso alle province italiane, l'ordinanza vietava la sepoltura nelle chiese e imponeva la costruzione di cimiteri fuori dai centri abitati, aggiungendo una disposizione egualitaria: le lapidi dovevano essere tutte uguali e collocate non sopra le tombe ma lungo il muro di cinta.
A poco a poco tutta l’Europa attua le stesse misure. Tuttavia, il cimitero resta inseparabile dalla chiesa in molte zone europee, come nei paesi baschi, nell’Europa centrale, in Svezia, Norvegia, Danimarca, Olanda e nella Germania settentrionale.
Il compromesso tra chiesa e stato, a proposito di morte e cimiteri, si realizzerà dividendo i compiti: il cerimoniale della morte restò affidato alla Chiesa, mentre le incombenze della sepoltura furono regolamentate da leggi nazionali e affidate ai municipi.
Volendo riportare un po’ di storia sul cimitero comunale di Castelvetrano, esso fu costruito in rispetto della legge 11 marzo 1814, nel 1840 (dopo 26 anni). Il Ferrigno ebbe a scrivere in quella occasione: “La scienza non poteva più tollerare che il putridume dei cadaveri, lasciati nei vortici dei carnai, ammorbasse l’aria”.
Infatti, fino a quella data, i cadaveri dei ricchi erano sepolti nelle chiese, mentre quelli dei poveri andavano a finire nelle fosse comuni, veri carnai, profondi sino a sei metri che contenevano sino a 700 cadaveri.
Essi esistevano in alcune zone interne dell’abitato: uno si trovava nell’odierna Via G. La Croce, il vicolo che il Noto denomina "del cemeterio" che, per l’occasione, anticamente era chiamata “Via delle anime poverelle”, situato alle spalle della Chiesa della Catena con frontale in Via Denaro.
Un altro carnaio, “Pozzo dei Sitti” si trovava nei pressi della Chiesa di San Giuseppe, oggi Piazza Diodoro Siculo, mentre un terzo, “di San Rocco”, si trovava alle spalle della Chiesa di Sant’Antonio Abate, dove oggi c’è un giardinetto interno.
Inoltre, quasi tutte le chiese conventuali erano provviste di carnaio, mentre, per i condannati a morte, c’era la fossa comune di San Leonardo.
Il Ferrigno, un nostro concittadino insigne ricercatore, nel suo opuscolo “La peste di Castelvetrano” descrive lo svolgersi della peste del 1624 – 1626 ed i provvedimenti presi dalle autorità: vicino la Chiesa di San Francesco di Paola, tra le attuali Via Lazzaretto e Via Quintino Sella fu istituito un lazzaretto per la cura dei contagiati.
Nelle vicinanze, nello spazio dove oggi si trova la scuola Benedetto Croce fu istituito un cimitero e tutta l’area venne chiamata “Beati Morti”. La zona, chiamata località Sant’Alessio, fu circondata da muri ed al centro fu posta una croce di ferro con piedistallo in muratura. I morti venivano sepolti in fosse singole e coperte di calce vergine e, quindi, di terra. Questo cimitero, chiamato “degli appestati” si è conservato fino al 1950 circa. Quindi la vasta area fu adibita ad area edificabile.
Un altro cimitero di emergenza si trovava a sud dell’aeroporto Fontanelle, nella zona chiamata Pusterla; durante il colera del 1867 vi furono seppellite le persone morte per contagio. Era esteso 70 are; risulta che il Comune acquistò il terreno da Maria Antonia Angelo in Sciacca, "per rogito in notar Castelli Francesco , a’ 6 febbraio 1872, giusta delibera del Consiglio Comunale del 18 luglio 1869". Nell’arco di pochi anni, fu lasciato in completo abbandono e col tempo se n’è persa ogni traccia.
Al pietoso ufficio del trasporto e sepoltura dei deceduti provvedeva in un primo tempo la Congregazione di N.S. degli Agonizzanti. Abolita la Congregazione, subentrarono i becchini di professione. Essi pretendevano lauti pagamenti in rapporto ai redditi dei defunti; anche i poveri dovevano pagare, viceversa i morti li lasciavano in casa.
Anche la cassa funebre si doveva pagare, ma per i poveri provvedeva il comune. La cassa, però, deposto il cadavere nel carnaio, serviva per altri trasporti. Intorno al 1864 è stato istituito un apposito servizio, a mezzo di carrozze funebri e becchini, finanziato dal Comune.