Nel ricordo di Virgilio Titone, amante del sapere, della sua terra e papà anticonformista. Il ricordo della figlia Lucia
del 2020-07-25
Oggi, nell’ambito della nuova rubrica "Castelvetrano ricorda", approfondiremo la figura di Virgilio Titone, grande storico, scrittore e critico letterario castelvetranese.
Abbiamo ripercorso la vita di Virgilio Titone grazie all’aiuto della figlia Lucia, cercando di mettere in risalto soprattutto il suo aspetto umano e raccontando qualche spaccato di vita privata.
Come ha trascorso l'adolescenza suo padre? Quali erano le sue passioni da giovane ?
Dopo aver frequentato le scuole elementari, frequenta il ginnasio a Mazara del Vallo. Quegli anni segnarono profondamente la sua vita e la sua formazione. Sono gli anni che lo vedevano, giovane studente, lontano da casa, lontano dai suoi affetti .
Legatissimo alla propria madre , a lei scriveva quasi giornalmente per tenerla al corrente dello scorrere della sue giornate. Di quegli anni lontani e di sé parlerà poi, nel Racconto la “ Pensione”, tratto dal Libro “Storie della vecchia Sicilia” descrivendo un ritratto, un carattere che conservò per tutta la vita: - “ Il ginnasio, o meglio la quarta e quinta ginnasiale, (poiché allora non c’era quella che oggi si chiama la scuola media) , lo frequentai a Mazara. A ottobre feci gli esami e subito dopo- si era nel 1920- fui iscritto in quarta.
Quello e l’anno seguente fu uno dei periodi più intensi della mia vita. Io sono ancora quello che ero allora. Le mie idee in generale, con quello che sui quattordici o quindici anni pensavo del mio paese e dei rapporti che mi legavano agli altri, dopo tanti anni non credo siano sostanzialmente mutate. .…Certo non credo che tutti i ragazzi di quell’età pensassero quel che io pensavo e si comportassero allo stesso modo.
Al contrario, se rivedo il ragazzo di allora, lo scorgo più silenzioso degli altri. Non partecipa ai loro giochi. Se ne rimane in disparte, impacciato di esser tanto diverso e di dover nascondere di esserlo”.
Giovanissimo conobbe i sacrifici, studiava e lavorava per sostenere la famiglia, ritenendo qualsiasi lavoro, anche il più umile come assolutamente dignitoso, se portato avanti con serietà e passione. Senza un lavoro che dia dignità agli esseri umani, diceva, la vita è svuotata di significato.
Impartiva lezioni private anche a giovani universitari, contribuendo così al mantenimento dei fratelli più piccoli, inviando puntualmente parte dello stipendio alla propria madre. Durante i fine settimana i suoi svaghi, come per molti ragazzi di quel tempo si svolgevano per le strade del suo amato paese, in particolare nella via Garibaldi, dove era nato, trascorrendo il tempo migliore con gli amici di sempre.
Dopo il ginnasio e la frequenza del Liceo Classico intraprese gli studi nella facoltà di Lettere di Palermo. L’Amore per lo studio e la continua ricerca in ambito letterario e storico lo portarono a visitare le maggiori biblioteche e Archivi Europei.
L’interesse e la curiosità per i costumi di altri popoli e altri paesi lo portarono dunque in Spagna, Francia, Inghilterra in Turchia, luoghi che lo affascinarono per le loro nobili tradizioni e livello di Civiltà raggiunti, a fronte di un Paese come l’Italia che definiva, in quegli anni, culturalmente ancora molto provinciale. In quella fase della sua vita ebbe pertanto modo di intrecciare amicizie e sodalizi culturali con molte figure di studiosi a cui rimase per sempre legato, credendo, prima di tutto nell’Amicizia, come a un Valore supremo. La musica, la lettura, la scrittura e i viaggi gli furono compagni si sempre.
Cominciò a insegnare , subito dopo la laurea, in vari licei in tutta Italia. Che ricordi aveva di quelle prime esperienze da insegnante? Che idea si era fatto sui metodi di insegnamenti vigenti a quell' epoca?
Giovanissimo, dopo il conseguimento della Laurea in Storia Moderna ricevette l’incarico per l’insegnamento nei Licei Classici. Le città di Bologna, Perugia, Roma, Trapani (Liceo Ximenes) lo videro giovane insegnante in una Italia ancora martoriata dalla guerra.
La Toscana fu la regione che più amò per la sua gente , dignitosa e fiera se pur attraversata da grande carestia e miseria. In quegli anni ebbe l’opportunità di visitare i luoghi più caratteristici del centro Italia, nell’epistolario tenuto con la propria madre descriveva puntualmente i paesaggi montani dove amava sciare, le tradizioni, gli usi e i costumi , il carattere dei suoi alunni e delle famiglie che lo ospitavano, descrivendone il livello di civiltà raggiunto rispetto ad un Sud ancora molto arretrato e poco modernizzato.
In quella Italia, pochi i giovani che potevano permettersi di proseguire gli studi e dunque il ruolo di insegnante diveniva anche l’opportunità per stabilire relazioni umane significative.
Era solito infatti ribadire che gli anni più intensi e significativi della sua carriera rimasero gli anni in cui insegnò nel Licei. Quegli anni gli restituivano il senso dell’insegnare, quale scambio di esperienze, emozioni, saperi, attraverso un contatto autenticamente umano con i propri studenti. A tal proposito soleva ripetere che il “modello ideale” auspicabile a cui una Riforma avrebbe dovuto guardare, era il “ritorno” alla figura del “Maestro” che, come nell’Antica Grecia, passeggiando lungo le vie o trovandosi nell’Agorà con i discepoli potevano attuare il vero senso della trasmissione del sapere, in una continua e reciproca tensione maieutica.
Gli anni dell’insegnamento al Liceo dunque furono, sotto il profilo culturale e umano i più coinvolgenti e certamente i più vividi, rispetto al ruolo talvolta freddo e Accademico che ebbe a sperimentare nelle Università, soprattutto negli ultimi anni.
Che padre è stato? Quali valori le ha trasmesso?
E’ stato un padre estremamente amorevole, nutrendo nei miei confronti un affetto quasi “materno” e protettivo. Non ricordo un solo gesto che non sia stato colmo di attenzione e gentilezza. Il nostro rapporto si nutriva di emozioni e condivisione di stati di animo, ma anche di confronto costante sulle vicende politico-sociali che attraversavano il nostro paese.
Riconosceva in me la persona che più di ogni altro conosceva e comprendeva il suo animo e credo di essere stata, a parte qualche amico davvero intimo, la depositaria dei suoi stati interiori, delle sue gioie, delle disillusioni e delle sue malinconie.
Da bambina, da lui appresi l’amore per gli ultimi, la pietas e la comprensione verso il prossimo, valori perseguiti con un sentimento quasi Evangelico.
Non elargiva “insegnamenti”, piuttosto anticonformista, non riteneva la regole del sistema educativo “ufficiale” un modello da seguire pedissequamente. Attraverso il suo esempio mi trasmise l’amore per il sapere che non doveva e non poteva passare soltanto dall’istituzione scolastica che, per certi versi considerava “deviante” nella costruzione di una Cultura autentica.
Spesso, andando contro ogni tendenza mi diceva con tono severo e austero: - “ma studi, su quei libracci ? Devi soltanto leggere, leggere, leggere. La scuola non serve a nulla”!
Sin da bambina era solito portarmi i romanzi più moderni, soprattutto letteratura americana che considerava portatrice di nuovi impulsi, attraverso scrittori che si aprivano a una visione moderna e spesso cruda della realtà emergente.
Ritornando da Palermo, di volta in volta mi chiedeva se li avessi letto e cosa ne pensassi. Compito “arduo” per una ragazzina” che, con molto imbarazzo e timore si trovava a conversare su questi temi. Ci scoprivamo sempre in pieno accordo, il mio parere , mi diceva, era spunto per alcune considerazioni opportune, dal momento che la mia giovane età rappresentava un “occhio,“ altro.
Di contro adorava Leopardi, le nostre conversazioni sul Poeta mi rivelavano il suo animo e la parte più “oscura” di lui che ho imparato ad amare e quasi a venerare. Nonostante tali aspetti “seriosi”, il nostro rapporto si nutriva di una dimensione “ludica” che lasciava emergere il suo “lato fanciullo” mai contaminato da ruoli istituzionali che non amava riconoscere né in se né in altri. Credo che attraverso tali manifestazioni assaporasse quella spensieratezza che la vita gli aveva tolto negli anni della sua giovinezza. Amava ridere delle e sulle cose più semplici e la sua proverbiale “ seria ironia” faceva scoprire, talvolta i lati comici di una realtà spesso tragica.
Infiniti gli aneddoti che ci vedevano “complici”, come bambini che amano sfidare gli adulti con le loro “malefatte”. E’ in questo che consiste la Autenticità dell’uomo, diceva , “saper giocare pur rimanendo seri”.
La natura della nostra relazione pertanto non era centrata sull’uomo pubblico, del suo lavoro o dei suoi riconoscimenti non amava parlare, in famiglia si viveva una vita semplice e spartana, basata sulla frequentazione degli amici più cari che amava invitare a pranzo , trascorrendo così momenti di grande giovialità, nel ricordo degli affetti passati e degli eventi salienti di cui il paese era stato teatro. L’Ascolto, la narrazione e la conversazione sono divenuti i pilastri del nostro vissuto. “ Una Società che non Conversa è una Società destinata a morire”, così scriveva in un articolo in cui intravedeva il tramonto di una Civiltà, non più “conversevole”.
Nel suo paese natio ritornava tutti i fine settimana, era una consuetudine la passeggiata lungo le strade di Castelvetrano che amava fare in mia compagnia. Il nostro dialogo era “silenzioso” ma intenso, infatti ci univa un sentire comune sulle cose e sulla esistenza. Lungo le vie della città si soffermava a guardare i monumenti, le targhe dedicate ai grandi, molti dei quali erano anche stati suoi amici o conoscenti.
Di queste famiglie e della loro storia mi faceva partecipe, sottolineando che Castelvetrano aveva conosciuto momenti di splendore anche attraverso una borghesia illuminata che aveva contribuito alla ricchezza del paese.
Si immalinconiva per il mutamento che il suo paese aveva subito così velocemente, perdendo la sua Identità contadina, divenuta ora, un paesone come tanti, imbruttito dagli scempi edilizi che avevano sacrificato i palazzi più belli e stravolto il carattere di un luogo che aveva una sua dignità negli anni migliori.
Ricordava le antiche botteghe degli artigiani che da ragazzo frequentava e dove si soffermava ad ascoltare i discorsi degli anziani e partecipare ai giochi dei bambini. Anche gli artigiani avevano fatto ricco il nostro paese, una risorsa dimenticata, una attività tristemente abbandonata e non più tramandata da padre in figlio, così come accadeva un tempo. Legato a quel mondo sembrava , talvolta, fuori posto, impreparato a un mondo che mutava troppo velocemente.
Ha sempre combattuto e denunciato il mal costume del nostro territorio, condannando fortemente "il sistema mafia". Quali furono i suoi insegnamenti a tal proposito?
Drastico e “intollerante” nei confronti della decadenza morale della vita pubblica e della gestione di un territorio dove vigevano disonestà e corruzione, non risparmiò mai le sue critiche e la sua analisi sui fenomeni malavitosi che la nostra terra esportava anche fuori.
La mediocrità, l’ottusità nei modelli di gestione della cosa pubblica, dovuti in gran parte ai favoritismi, al nepotismo e al clientelismo di una certa classe politica, rappresentavano per lui, una delle cause del decadimento della Sicilia “gestita” dalle nuove mafie che ne avevano decretato la morte. Contro tale mal costume fu feroce e non risparmiò alcuna “categoria” di professionisti del malaffare, complici della corruzione dilagante. Da storico intravedeva le origine di tale sistema in una rovinosa “Autonomia “ della Regione Siciliana che riteneva ormai un Ente “inutile” dove proliferava parassitismo e incompetenza. Attraverso i suoi “scomodi” articoli metteva in risalto i responsabili , facendo nomi e cognomi, puntando il dito anche su quanti, divenuti servi di una certa Stampa erano divenuti schiavi di un sistema che andava combattuto con tutti i mezzi.
Sino agli anni 70 aveva pubblicato sulle maggiori testate giornalistiche. Sul Giornale di Sicilia curava una rubrica fissa che trattava di temi sociali, economia, fatti di cronaca, soprattutto centrata sul cancro mafioso che impediva ogni sviluppo e evoluzione della Società Civile in Sicilia e non favoriva il rinnovo di una nuova classe dirigente.
La sua firma “scomoda gli creò non pochi “nemici” e poco a poco vide ridurre la pubblicazione dei suoi articoli. Naturalmente la consapevolezza di tale “emarginazione” lo amareggiava profondamente, soprattutto negli ultimi anni della sua vita. La libertà di pensiero, l’autonomia critica, l’onesta intellettuale che aveva sempre perseguito, rimanendo coerente ai proprio pensiero Liberale e libertario sembravano ora, “disvalori” in un mondo che voleva soltanto uomini proni e lasciava fuori le voci libere.
Ricorda qualche aneddoto della vita di suo padre, a cui lei è particolarmente legata?
Gli aneddoti sarebbero infiniti, in particolare mi piace ricordare quello che forse descrive in maniera saliente il suo attaccamento ai valori che gli venivano da un “mondo antico”, quello dei suoi avi di cui serbava la memoria e gli antichi affetti, così come si predicavano una volta.
Amava profondamente curare la terra e in particolare la sua vigna a cui si dedicava con grande spirito di sacrificio e dedizione. L’amore per la terra e la campagna l’ aveva ereditato dal padre, la “terra”, bene sicuro rappresentava una risorsa che doveva essere curata e preservata anche per le generazioni future.
All’età di cinque o sei anni mi veniva trasmesso questo valore, insieme alla consapevolezza della fatica che esso comportava, sacrifici che bisognava conoscere per temprarsi. “La Terra va curata con amore e dedizione” mi diceva, “altrimenti essa non ti donerà mai i suoi frutti”.
In quegli anni aveva investito in un vigneto in contrada Triscina che tanto amava e venerava. Aveva comprato quell’appezzamento da un contadino che lo aveva reso fertile e fruttuoso. D‘altra parte il vino, come la produzione dell’olio rappresentavano la fonte di sostentamento e di guadagno di molte famiglie e in quella terra avevano lavorato i padri, insieme ai figli .
Lunghi filari di vigneti ritagliavano notevoli appezzamenti di terreno che arrivavano sino al mare, poggiando sulla così detta “rina”, la sabbia, appunto che caratterizzava quella contrada.
All’albeggiare si udivano sommessamente i suoi passi muoversi tra “gli zucchi” , e dalla finestra della casa colonica si poteva intravedere la sua figura, amorevolmente china sulle piantine che attendevano la cura quotidiana.
In tale occupazione mi coinvolgeva, felice che io potessi condividere con lui tali momenti. Alle cinque del mattino si puntava la sveglia, poi, si procedeva silenziosamente tra i filari curando di liberare i tralci dalla gramigna con strappo deciso e mi diceva: - “ vedi la pianta adesso respira. Ridare vita ai grappoli in crescita è un gesto di “ amore”. Nel vecchio granaio teneva le sue botti , dove conservava il vino migliore attendendo che diventasse “pregiato”.
Di tanto in tanto si controllava lo stato del mosto che si trasformava in vino, ma l’assaggiatrice di eccezione dovevo essere io, perché da bambini bisognava assaporare il “nettare degli Dei”, così lui chiamava il suo vino dal colore ambrato. Due boccali, poggiati su un asse di legno vedevano il nostro brindisi e soddisfatto aggiungeva con un sorriso tenero: “Bene, le persone intelligenti amano il vino. Ma forse è meglio che non lo diciamo a casa”. Tale condivisione mi appariva un immenso privilegio e nonostante i primi stati di “ebbrezza” , insoliti per una bambina, imparai ad amare ed apprezzare tale rito.
Perché le future generazioni dovrebbero conoscere Virgilio Titone?
In generale ritengo che l’Istituzione Scuola avrebbe il dovere di divulgare le opere e il pensiero degli studiosi contemporanei. Partire dagli eventi e dalle figure che hanno segnato la storia di questo secolo è fondamentale per comprendere fenomeni che altrimenti possono ritenersi “avulsi” dal contesto in cui si muovono le nuove generazioni.
Degli uomini che hanno avuto un peso nella Cultura, noi immaginiamo sempre di riscontrarne una forma di austerità, quasi di timore referenziale, ma quando li conosciamo nella vita reale impariamo della loro storia intima, dell’uomo che c’è dietro , con le proprie fragilità , le loro debolezze ma anche con i loro sogni e i loro insegnamenti. Credo che restituire a così detti accademici” tale dimensione umana sia un dovere morale in cui dovremmo impegnarci per immaginarli vicini al nostro sentire comune.
Virgilio Titone è stato uno storico che ha profondamente inciso sul panorama culturale europeo, interessato soprattutto alla Storia della Sicilia ne ha tracciato le linee fondamentali contribuendo a divulgarne le origini, i costumi l’evoluzione nei secoli.
Ma Titone fu soprattutto un Uomo che avvertiva profondamente il senso di appartenenza a una comunità per la quale intendeva spendersi.
Soprattutto verso i giovani nutriva particolare attenzione. Molto attento ai mutamenti sociali, vedeva nella nuova generazione una risorsa preziosa che andava supportata e rispettata.
Consapevole del contesto difficile e spesso ostile in cui i ragazzi, soprattutto nel meridione si muovevano, nel proprio ruolo di educatore e di storico credeva di avere una sorta di missione: coltivare nelle generazione future la consapevolezza di sé, la dignità, l’onestà morale e intellettuale. Il suo monito era rivolto soprattutto alla tenacia con cui proteggere e conservare i propri sogni, le personali aspettative, combattendo per raggiungerli e attuarli.
Possiamo riferirci pertanto a una sorta di “ Rivoluzione Culturale” che puntasse alla questione Morale come fondamento unico che potesse preservare l’individuo da ogni prepotenza e da qualsiasi tentativo di sopraffazione.
Su questi temi che gli stavano a cuore incentrò il suo impegno che guardava a una “questione meridionale” mai veramente affrontata e superata, determinata anche da quell’antico “sentimento” di vittimismo che ha caratterizzato il popolo meridionale e dal quale è necessario liberarsi per potere immaginare uno sviluppo autentico e duraturo. In tal senso lo studio della Storia e dei suoi sistemi economici divengono mezzo e strumento per comprendere non soltanto gli avvenimenti, ma i costumi, gli usi e l’anima di un popolo e poter attingere dagli errori del passato nuova linfa vitale.
Mosso da tale forte impegno si interessò particolarmente negli ultimi tempi al triste fenomeno della “fuga dei cervelli”, fenomeno che continua a impoverire il nostro territorio lasciando espatriare le intelligenze migliori.
In tal senso fu molto critico nei confronti dei metodi di insegnamento del nostro sistema Scolastico poco votato alla valorizzazione delle nostre risorse territoriali e nei confronti delle nostre Università, divenute, soprattutto intorno agli anni settanta –ottanta semplicemente “postifici” o parcheggi, accessibili a quanti continuavano a praticare antichi servilismi e favoritismi.
Ma le responsabilità erano anche da vedersi in una classe politica incapace e impreparata alle svolte epocali che stavano avvenendo nel resto dell’Europa. Un pensatore moderno che serbò sempre un rapporto amorevole e paterno con gli studenti che lo interpellavano per consigli personali e intimi, trovando in lui una guida spirituale e talvolta “paterna”.
La sua voce, libera e coerente ai propri valori e al proprio credo intendeva offrire, attraverso un linguaggio, lontano dai toni cattedratici, possibili strumenti per asservirsi da antiche schiavitù che attanagliano ancora il nostro territorio.