I Fasci Siciliani, tumulti e repressioni tra fine dicembre del 1893 e gli inizi del 1894 a Castelvetrano
di: Salvatore Di Chiara - del 2021-12-28
I cenni storici inducono a un'attenta analisi che annuiscono alla conoscenza profonda del percorso quasi millenario di questa città. Castelvetrano ha raggiunto picchi di splendore e toccato il baratro della sua decorosa esistenza. Un tracciato ostacolato dalla miseria, tumulti e repressioni sanguinose vissute dal popolo castelvetranese in diversi contesti socio-storici.
Uno dei periodi più duri è stato segnato dalle lotte dei Fasci Siciliani. Napoleone Colajanni (scrittore ennese) è riuscito a racchiudere e valorizzare l'importanza di quel periodo intenso in terra siciliana nel suo libro “Gli avvenimenti in Sicilia e le loro cause”, analizzando i motivi che portarono la popolazione isolana a protestare contro i poteri forti.
Le radici sono abbastanza profonde e vanno ricercate sin dall'Unità d'Italia (1861), ove le condizioni economiche della popolazione ed in particolare dei contadini erano misere e difficili. Oltre alla mancata equità dei parametri utilizzati dal Governo, alcune leggi erano imperfette e sbagliate delineando un quadro sociale disastroso.
Nel 1887 le scelte protezionistiche avevano sviluppato le nuove industrie del Nord e recato ingenti danni all'agricoltura del Sud. La cattiva amministrazione e l'odio dei deboli nei confronti degli arbitri feudali dei latifondisti, la spietata ingordigia dei governatori e potenti aumentarono il dissapore e il distacco sociale.Si cercava la socializzazione dei mezzi di produzione e non la divisione delle proprietà. Si voleva abolire il salariato e adottare la lotta di classe per distruggere le classi odierne e le ineguaglianze affermate nel tempo.
Le notizie correvano velocemente, spesso sbagliate e quando raggiunsero la nostra città scoppiò una rivolta feroce. Il 12 novembre del 1893 si formò un Fascio dei Lavoratori, lasciandosi guidare dalle persone colte; aveva sede in via V. Emanuele in una casa di proprietà dei Santangelo. Gli iscritti furono 500 e appartenevano alla borghesia e alla classe popolare, con idee politiche di non appartenenza al socialismo.
Quest'ultimo aspetto si discostò rispetto alla formazione dei Fasci in altre zone dell'isola ed evidenziò un concetto abbastanza scriteriato. Alcuni di essi ponevano l'accento nel clientelismo lottando contro gli amministratori locali.
Uno dei casi maggiori si ripercosse nella nostra città. Il Fascio era presieduto dal capo del partito d'opposizione monarchico e moderato, cavaliere della Corona d'Italia, amicissimo del Crispi: il farmacista Giovanni Vivona (detto viscuttinu perché mingherlino), mentre il vicepresidente era Antonio Riccobono. Altri cooperatori erano: la famiglia Console, gli Infranca, i Gentile, ma anche Giovanni Bonagiuso (approfondito e discusso in un articolo precedente) e solidale con i poveri e il colto Leonardo Centonze.
La loro affermazione crebbe nell'odio nei confronti della ricca famiglia dei Saporito, affermatosi in ambito economico e politico. Secondo questi ultimi, il Fascio detestava le numerose proprietà appartenenti a loro e bisognava dividerli. I Saporito sapevano che il popolino aveva bisogno dei ricchi possidenti e “furbescamente” formarono un nuovo Fascio diventando i veri antagonisti dei rivoltosi.
Da quel momento, a Castelvetrano iniziarono alcune proteste abbastanza veementi. Il percorso di quei giorni è descritto con mera perfezione e ricalca ampiamente i fatti accaduti.
Il 30 dicembre del 1893 alle ore 17 venne incendiato il casello daziario di porta Itria e successivamente gli altri, compreso l'ufficio centrale in piazza Garibaldi. Si tentò di incendiare il Municipio e la Banca di Castelvetrano ma la truppa energicamente l'impedì. Vennero incendiate gli uffici del Registro, Demanio, Esattoria, Conciliazione e vennero liberati ben 13 carcerati. Tutto questo avvenne in meno di quattro ore. In piazza s'iniziò a gridare “ Viva lu re e abbassu lu daziu!”
Il 31 dicembre vennero arrestati quattro individui per i fatti del giorno precedente. Il Fascio continuò le sue proteste per le vie della città e reclamò la scarcerazione dei quattro manifestanti arrestati. Il primo gennaio del 1894 alcuni cittadini invitarono i rivenditori a ribassare i prezzi dei commestibili per l'avvenuta soppressione dei dazi.
Proprio in quel frangente, l'amministrazione del sindaco Saporito e la Giunta si dimisero in massa e venne eletto sindaco Giovanni Vivona. Vennero riaperte due chiese abbandonate (S.Agosatino e S.Pietro) grazie al popolo e ripristinato il culto. Nella prima chiesa fu richiesta la campana che era stata a sua volta trasferita nella chiesetta della S.S. Trinità di proprietà dei Saporito.
I giorni successivi furono di apparente calma in città mentre nel Governo centrale ci furono notevoli ripercussioni. Venne richiamato al poter Crispi e nominato commissario straordinario con pieni poteri in Sicilia il tenente generale Morra di Lavriano.
Il fattaccio avvenne il giorno 5 gennaio. Una truppa giunse a Castelvetrano e la vecchia amministrazione riprese le cariche istituzionali. L'azione voluta dal Presidente Crispi fu sostenuta dal circolo Unione, la società operaia 1870, la società Selinunte, la Fratellanza Artigiana, la società Principe di Napoli e vennero rimesse in funzione tutti gli uffici danneggiati dalle rivolte di fine dicembre.
Improvvisamente, il 13 gennaio arrivarono circa 800 uomini del 32° Fanteria e arrestarono Giovanni Vivona, il vicepresidente Riccobono, un altro centinaio di dissidenti e causò lo scioglimento del Fascio. Per placare gli animi dei poveri vennero distribuiti 30 quintali di pane e 10 di pasta.
Iniziò il processo a Trapani per “i fatti di Castelvetrano”. Furono condannati a 10 anni di reclusione i vari Gioia, Leone e Maniscali. Invece a 5 anni i vari Centonze, Console, Petrua e Riccobono . Bonagiuso sfuggì alla cattura ma venne inviato a domicilio coatto a Favignana e Pantelleria. E Vivona?
Gli accusatori non nascosero affatto il proprio livore né l'odio contro gli accusati. Molte autorità politiche non ignoravano le condizioni di animo di coloro che si fecero accusatori dei propri concittadini, ma anche quando sentivano pietà e forse erano tormentati dal rimorso, esse credettero di continuare nell'opera nefanda ubriacati dai vapori della reazione di cui era saturo l'ambiente. Timorosi della propria sorte se avessero osato venir meno alle istruzioni superiori , nella preoccupazione della carriera... Ad esempio non lo diminuì per nulla il sindaco Saporito nei confronti di G. Vivona.
Non depose ma pronunciò contro il prigioniero una requisitoria con la quale riuscì ad indispettire anche il Presidente del Tribunale di guerra. Bonagiuso venne in aiuto dell'amico Vivona durante la sua deposizione, affermando il suo carattere leale, onesto e rispettoso. “E' il maestro nei principi di libertà . Egli è incapace di far commettere reati di sangue per vendetta e di serbare rancori”.
Rispetto ai tumulti di Gibellina, Cavalturo e altri paesi in cui persero la vita molti dimostranti, a Castelvetrano non vi furono nè feriti gravi nè perdite di vite. Nonostante il conforto dei suoi amici, G.Vivona fu condannato a una pena pari a 12 anni che venne azzerata per l'amnistia voluta nel 1896 da parte di Crispi.
Dietro ai Fasci castelvetranesi rimangono alcuni misteri irrisolti o andrebbero analizzati alcuni punti domanda.
Perchè il Presidente Francesco Crispi adottò una strategia dura nei confronti della nostra città ed in particolare, contro l'amico Vivona? Il Cavaliere Vivona (nominato dallo stesso Crispi) era politicamente vicino al deputato Abele Damiani (sindaco di Marsala). Anch'esso amico di Crispi, ma rimproverò a quest'ultimo la diaspora contro i Fasci castelvetranesi attuando una forma aggressiva nei loro confronti.
La vicinanza politica del farmacista Vivona con Damiani alimentò un totale distacco tra Crispi e il nostro concittadino? Perchè le repressioni colpirono direttamente gli uffici centrali del nostro paese e non le proprietà dei Saporito? Le verità andrebbero ricercate nei volumi di storia, documenti appartenenti agli archivi di Stato e trovare un filo conduttore che unisca tutte le tesi possibili. Castelvetrano vive nella bellezza e misteriosa passione storica.
L'enorme contributo fotografico dello storico Vincenzo Napoli merita una menzione speciale come sempre. Un valore aggiunto, magistralmente incastonato nella sua opera archivistica.