La dinastia dei Moro. "La mia esperienza rossonera, mio papà Bepi ai Mondiali in Brasile e i ricordi a CVetrano"
di: Salvatore Di Chiara - del 2021-01-12
Il calcio italiano è stato protagonista di grandi "dinastie" familiari e tra esse, non possiamo dimenticarci quella dei Moro. Dal padre Bepi, grande portiere affermatosi negli anni 40-50 e partecipante al mondiale del 1950 in Brasile, sino al figlio Alberto.
Proprio quest'ultimo, ha vestito la maglia folgorina (circa 50 presenze) per due anni (1975-76 e 76-77), sotto la presidenza Genna coadiuvato dal ragionier Mandina. Marchigiano di nascita, scese in Sicilia e maturò un'esperienza importante nell'Akragas (4.anni), prima d'indossare la casacca rossonera.
La redazione di castelvetranonews.it ha avuto l'occasione di intervistare un uomo che, ha lasciato un ottimo ricordo nei tifosi folgorini, in un periodo complicato della storia rossonera, dovuto alla squalifica dello stadio Paolo Marino avvenuta nel 1974.
Ciao Alberto. Hai vissuto due anni a Castelvetrano e disputato altrettanti campionati con la Folgore. Come ti trovasti in città?
"Benissimo e ancor’oggi, ho molti contatti di coloro che incontrai nel periodo castelvetranese".
Chi furono i tuoi allenatori e quale rapporto avesti con loro?
"Il primo allenatore fu Nardi e dispiace non aver conosciuto a fondo la sua carriera sportiva. Fu sostituito da Ciriesi che, iniziò anche l’anno successivo. Con Rino, ho un rapporto fraterno e di grande amicizia. Lo stesso Ciriesi fu sostituito da Raffin e poi, all’ultima giornata prese le redini in mano della situazione, Carletto Confalonieri. Raffin era un personaggio carismatico che, ereditò una squadra ottima in alcune componenti e debole sotto altri aspetti".
Qual e’ il ricordo più bello della Castelvetrano sportiva?
"Senza ombra di dubbio, la gara contro lo Sciacca. Fu disputata al Paolo Marino il 29 febbraio del 1976, dopo due anni di squalifica e davanti ad una cornice di pubblico festante ed entusiasta. Quel giorno, i tifosi incitarono i propri beniamini e scandirono continuamente il mio nome.
A fine gara, s’avvicinò un tal giornalista (un certo Nozza del quotidiano “il Giorno”), sceso in paese per alcune informazioni sul terremoto del 1968. Chiese espressamente della mia persona e la provenienza, invitandomi a pranzo insieme a mister Ciriesi".
Se potessi rigiocare una gara in maglia rossonera, quale sceglieresti tra le tante?
"Non ricordo attualmente il nome della squadra avversaria ma diedi il massimo delle mie possibilità, sciorinando una prestazione importante, andando oltre i miei limiti. Mi chiesero un paio di volte se, volessi vendermi la partita e non scesi a compromessi".
Risultato della gara?
"Mi scontrai con un avversario e ricevetti quattro punti di sutura. La corsa veloce in ospedale, grazie all’immensa bontà dell’amico Giovanni Di Giovanni, onde evitare il peggioramento della situazione".
Il giocatore folgorino più forte con cui hai giocato?
"Ebbi la fortuna di incontrare molti castelvetranesi e non, giovani ed in gamba, tra cui i vari: Aiello, Calandrino, Messana, Ruccione, Oroni, Inzerillo, Urbano, Telari, Ferrante e Passafiume. Vorrei fare una menzione speciale al professore Ingrasciotta che, non dotato di un grande fisico, riusciva sempre a trovarsi al posto giusto. Tra gl’altri, non posso dimenticarmi di Reina, il compianto Lucarelli ed anche di Berlich ( gran colpitore di testa, seppur fosse un matto)".
Un aneddoto particolare della tua esperienza rossonera?
"Potrei raccontarne parecchi e lasciarmi invadere dalle bellezza interiore di quel periodo. Vorrei evidenziarne uno abbastanza curioso. Insieme ad un ex compagno ( Eddy Swannauer), eravamo spesso invitati dall’avvocato Infranca nella sua tenuta di campagna. Con mera espressione allegorica, esprimeva sempre una battuta: "Qualora vorreste mangiare in casa mia, dovete scegliere tra un coniglio od una gallina singolarmente e mangiarla nella sua interezza". Era una gara tra me ed Eddy con sorrisi e divertimento".
Quale consiglio daresti ai giovani d’oggi che, vogliono intraprendere il ruolo di portiere?
"Seguire intelligentemente e con dovuta attenzione i loro tecnici. Sono molto preparati e rispetto al passato, sono cambiati i modi e le caratteristiche degli allenamenti. Noi dovevamo allenarci personalmente, scegliendo percorsi differenti. Oggi, i portieri sono osservati espressamente nelle loro dinamiche personali e migliorano quotidianamente le prestazioni".
Con un grande e caloroso abbraccio, salutiamo Alberto Moro, regalandoci un ultimo pensiero. La Folgore rimane impressa nel cuore, afferrando il concetto profondo d’appartenenza e, nonostante le sue origini marchigiane, è rimasto affettuosamente legato alla nostra città.