Nel ricordo di Messina 3-0 Folgore, giornata calcistica dolorosa al Giovanni Celeste per i rossoneri
di: Salvatore Di Chiara - del 2022-04-29
Una gara importante vissuta con l'adrenalina al massimo per cullare i sogni di gloria. Una settimana per prepararla insieme ai tifosi e, oltre al danno, subire la beffa. Queste sono le parole di un tifoso (Maurizio).
Il riferimento è preciso e corre dritto a quella gara che eliminò la Folgore dai giochi e divenne un incubo per i tifosi.
La stagione 1993/94 rappresenta uno dei migliori tornei disputati nella storia rossonera. La squadra inanella un cammino importante e coltiva i sogni di una storica promozione in serie C2. Sulla panchina rossonera siede il “mitico” Mario Possamai e la banda folgorina inizia a far sognare i suoi tifosi.
Si giunge così alla ventitreesima giornata di campionato che vide contrapposte la Folgore e l' A.S. Messina. I castelvetranesi sono secondi in classifica dietro al forte Castrovillari del duo Del Zotti-Baratto (battuti al P. Marino per 1-0) e debbono superare l'ostacolo giallorosso (allora terzi) per continuare la corsa ai calabresi.
La settimana che precede la gara è vissuta con toni e animi differenti dai due club. A Castelvetrano si vive gioiosamente l'attesa e gli ultras preparano la trasferta con un'attenta organizzazione per incitare i propri beniamini sino al fischio finale.
In casa messinese le acque sono agitate per il mancato pagamento degli stipendi. Il presidente è giunto al collasso e la squadra minaccia di non scendere in campo. Un organico di prim'ordine che figurerebbe bene nell'attuale Lega Pro. A vestire la casacca peloritana ci sono i vari Naccari, De Luca, Vanzetto, Onorati, Oliveri, Macrì e in panchina quel vecchio volpone di Busetta che ha in serbo un' amara sorpresa per la Folgore. Nonostante la situazione societaria critica, il Giovanni Celeste è un fortino “quasi” inespugnabile. I tifosi rossoneri (un centinaio circa) vengono accompagnati nella tribuna “Valeria” e dopo un viaggio di parecchi chilometri, finalmente possono dedicarsi alla propria squadra.
“Eravamo stanchi ma contenti e soddisfatti d'avere raggiunto la destinazione. Entrare in quello stadio era un vanto per noi. Si respirava aria di storia, leggenda e dopo Palermo e Catania, sapevamo dell'importanza rivestita in ambito regionale e nazionale. Un campo unico che andava riempiendosi velocemente”. Le parole di Maurizio risuonano come un tuffo nel passato, un ricordo che non ritornerà più lasciandosi trasportare dalle emozioni vissute e dimenticando per un attimo i fatti accaduti al fischio finale.
In campo si assiste a una gara gagliarda dei messinesi che vincono per 3-0, grazie all'autorete di Varvaro su fendente di Vanzetto, alla bella volee di Naccari e alla rete di Prima. Una giornata condita da tre espulsioni (2 per la Folgore) ai danni di Pappalardo e Cicciarella. Una sconfitta che lascia delusi tutti, compresi i tifosi.
Da quel momento inizia un secondo round, molto più intenso rispetto a quello vissuto dentro lo stadio. I tifosi del Messina iniziarono a prendere di mira quelli rossoneri e nonostante la vittoria conquistata sul campo, si scagliano contro i castelvetranesi.
“Fummo raggiunti da un lancio di pietre che proveniva da tutte le parti senza possibilità di muoverci. Il nostro obiettivo era salire nel bus e uscire fuori dalla città. Scortati dalla polizia, fummo oggetto di una sassaiola senza sosta”. Finalmente il gruppo organizzato imboccò l'autostrada e fu raggiunta la vittoria di giornata.
Nelle parole di questo tifoso si scorge la delusione, forte e determinata. Col tempo inizia ad allontanarsi dallo stadio e a seguire sempre meno la squadra. Un altro paio di stagioni e poi, il definitivo addio. Quelle immagini lo segnarono tanto e non riesce a distanza di ventotto anni a comprendere il motivo di quell'aggressione.
La Folgore chiuse il torneo con 45 punti raggiungendo la quarta posizione dietro al Castrovillari, Catania e Messina. Un anno intenso e pieno di gioie condite da alcune rimonte pazzesche. Nello sguardo di Maurizio però resta la tristezza per avere vissuto una domenica negativa che l'ha segnato per tutta la vita.