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“L’aratru”, “la tinnigghia” e “l'ariddu”. Ricordando gli attrezzi di lavoro di un tempo

di: Vito Marino - del 2018-11-18

Immagine articolo: “L’aratru”, “la tinnigghia” e “l'ariddu”. Ricordando gli attrezzi di lavoro di un tempo

Durante la civiltà contadina e fino agli anni ’50 del secolo scorso, tutti i lavori erano eseguiti a forza di braccia e con l’ausilio degli animali da soma e di attrezzi arcaici, semplici e manuali.

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  • L’ARATI (L’ARATRO) - Sicuramente il più importante attrezzo era l’aratro di legno, con un solo vomere detto “a chiovu”, che si voleva inventato da Cerere e da Trittolemo, a trazione animale; era composto da una lunga pertica e tirato tramite il giogo “lu juvu” da due buoi o muli e veniva chiamato "l’arati a dui" o “lu tiru a dui” (aratro doppio). Esso permetteva di usare un vomere più grosso o a “tri punti” (tre vomeri).

    In tempi più recenti, verso il 1930 è sorto “lu mezz’arati o arati a forficia o a scocca”, (aratro semplice) con due aste fra le quali si “mpaiava” (legava) un solo mulo. Nello stesso periodo l’artigianato e l’industria, produssero l’aratro con struttura di ferro, più robusto e più duraturo.

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  • Con questo attrezzo si aprono numerosi solchi l’uno accanto all’altro; siccome fra due solchi spesso rimane una striscia di terra non smossa, occorrono diverse lavorazioni in senso orizzontale e “a rumpiri” (trasversale).

    Questo prezioso attrezzo di lavoro fu usato per millenni dai contadini e cessò di esistere con l’introduzione graduale dei trattori meccanici. Tuttavia, ancora oggi è possibile incontrarne qualcuno in funzione in alcune plaghe dei Nebrodi e dell’Etna.

    Esemplari di quest’arcaico strumento aratorio sono esposti nei musei etno- antropologici di tutta la Sicilia, compreso quello di Castelvetrano, al quale ho dato anch’io il mio modesto contributo alla preparazione.

    Dietro l’aratro, a piedi, veniva il contadino, per dirigere l'animale con le retini legati alla cavezza “crapisti” del mulo o “naseri” in caso di bue, e per tenere l'aratro nella giusta posizione e direzione attraverso la “manuzza” dell’aratro stesso.

    Quando per tirare l’aratro il contadino si avvaleva del bue, doveva “firrari” gli zoccoli con i “mezzi ferri”, perché il bue ha lo zoccolo del piede più piccolo di quello degli equini. In questi casi l’animale era chiamato “Lu voi a lavuri” (preparato per lavorare con l’aratro).

    L’antico “arati”,(vecchio aratro a chiodo siciliano), in legno di quercia o di frassino è composto dalla bose “percia”, una lunga pertica lunga da metri 3,60 a 4. Nel centro si innesta il “puntali” (dentale) ad angolo ottuso con il vomere di ferro o d’acciaio, mentre nella parte superiore c’è il giogo.

    LU IUGU (IL GIOGO) -Alla parte terminale superiore della pertica si attacca “lu iugu” (il giogo), che consiste in un pezzo di legno lungo almeno m. 1,60 portante alle due estremità un anello di ferro e al centro un archetto ove s’introduce la punta della bure.

    Il giogo si poggia sul dorso degli equini, legato al “sidduni” (basto) o sul collo nel caso del tiro bovino a queste ultime bestie “na parigghia di muli o di voi” il giogo non si appoggia al collo ma al “cuddaru” imbottito detto “varduneddu o ghiumazzeddu”.

    LU PUNTALI O CEPPO -Nella parte inferiore della pertica vi è innestato, formando un angolo ottuso, il “puntali” o ceppo, costituito da un asse di legno che nella parte inferiore finisce con  il dentale a cui si innesta “la vommara” (il vomere), che consiste in una punta di ferro o di acciaio, di forma lanceolato—acuta. mentre nella parte superiore finisce con la “manuzza” cioè l’impugnatura che serve al contadino per reggere e dirigere l’aratro..

    LA TINNIGGHIA O REGOLATORE E L’ARIDDU -La “tinnigghia”, che deriva da “tenaglia” collega il puntale (o ceppo) con la pertica. E’ formata da un’asta di ferro ricurvo con tanti buchi, che servono per regolare l’angolatura del puntale allargando o restringendo l’angolo che la bure forma col ceppo, si viene ad avere un lavoro più o meno profondo. permettendo al vomere di scendere in profondità o meno.

    La tinnigghia è fissa sul ceppo e scorrevole nella pertica entro un foro praticato nella bure. “L’ariddu” è un fermo cuneiforme che si introduce in uno di questi buchi, per evitare che il regolatore si sposti dalla posizione voluta dal contadino.

    AUGGHIATA -Finalmente fa ancora parte del tiro la rulla (augghiata) a castelvetrano: “Marvuscia”, lungo bastone munito per un’estremità di una paletta in ferro, che serve al contadino per togliere il terreno argilloso e umido, che si attacca al vomere, alle scarpe e agli zoccoli dell’animale. Per pulire la zappa dalla terra argillosa umida che si attacca rendendo pesantissima la zappa, c’era la “rasula” o “rasòla”, che il contadino zappatore portava legata al cinto.

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