"Ce la faremo Prof?". Quelle domande così semplici ma anche così difficili in tempi di COVID19
di: Leonardo Obbiso - del 2020-04-25
"Ce la caveremo, vero, prof.?" É stata questa la domanda che Mattia di 3B, proprio all’inizio di questa settimana, mi ha rivolto durante una delle tante lezioni on line che hanno stravolto completamente il nostro modo di essere Scuola e non solo.
Come rispondere? Quale aspetto tenere presente per centrare il nesso della domanda senza scadere in paternalismi o in filippiche delle quali nessun ragazzo ha mai voglia e meno che mai in questo momento?
Dopo una breve riflessione, ho capito che Mattia non intendeva analizzare il problema né da un punto di vista medico-scientifico, né tanto meno economico o scolastico, ma quello che gli interessava realmente era l’aspetto umano e relazionale. In poche parole mi stava chiedendo: la nostra vita tornerà ad essere come prima? Potremo fare tutto ciò che nella quotidianità riempiva di senso le nostre giornate? Scuola, lavoro, sport, oratorio, amici…?
Non lo so! I prof. non sanno rispondere sempre a tutto.
Di certo so che si farà il possibile per ritornare a quella “normalità” di cui siamo stati privati ormai da bel po’ a causa delle restrizioni e che, con il passare delle settimane, diventano sempre meno tollerabili. Anche se siamo al contempo, o almeno dovremmo essere, consapevoli del fatto che tutte le misure cautelative adottate fin ora, sono state prese per il bene comune e la salvaguardia di tutti noi.
Allora mi viene da pensare che questo momento, di portata globale, come mai nella Storia nessun altro avvenimento, possa essere determinante per le nostre vite. Ho detto sin dal primo giorno ai miei studenti che questo tempo ci sta dando l’opportunità di imparare qualcosa che non possiamo leggere in nessun libro di testo e che ci interpella, allo stesso momento, come spettatori e protagonisti.
La solitudine che siamo chiamati a vivere può tornarci utile per fare il punto sulla nostra vita, vedere dove stiamo andando e come abbiamo risposto alle nostre chiamate e vocazioni.
Quest’emergenza ci sta insegnando molte cose, che ho riassunto in queste parole: per prima la responsabilità intesa proprio come “Respondere”, ovvero: l’altro mi chiede di agire con comportamenti consapevoli. Il Coronavirus ci invita a riflettere sulle conseguenze di ciò che facciamo, a prestare più attenzione anche alle piccole cose: è diventato fondamentale lavarsi le mani, usare la distanza di sicurezza, addirittura restare a casa.
Probabilmente, domani saremo in grado di essere più meticolosi perché avremo imparato che quello che facciamo o che non facciamo ha delle ripercussioni non solo su di noi ma anche su chi ci sta intorno, sull’ambiente, sul territorio e su chi verrà dopo di noi.
In secondo luogo l’interdipendenza, ovvero il fatto che, per quanto ci si possa sforzare di creare distanze o alzare muri tra noi e gli altri, siamo comunque tutti collegati da un unico invisibile filo. Potremo imparare che esiste davvero una sola Terra e una sola Umanità. Il virus ce lo ha insegnato a tutti noi, forse anche troppo brutalmente.
Dovremmo ricordarcelo pure quando saremo chiamati a piantare semi buoni negli altri, quando offriremo il nostro tempo e le nostre energie per qualcosa di positivo. Anche questi elementi possono propagarsi e diffondersi in maniera esponenziale. I latini dicevano “Bonum diffusivum sui”.
Il Covid 19 ci sta urlando che non ci si salva da soli. A proposito della solidarietà don Lorenzo Milani scriveva: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia”.
Se abbiamo la consapevolezza di un’appartenenza comune e la coscienza che condividiamo gli stessi interessi, allora occorre aiutarci l’un l’altro senza lasciare nessuno da solo ad affrontare le avversità della vita. Ognuno deve fare ciò che è bene per sé e ciò che è bene per gli altri.
È la logica win-win: se perde qualcuno, perderemo tutti; se vinceremo, vinceremo solo insieme! Tutto ciò va anche contro la cosiddetta cultura della scarto che vede privati dei fondamentali diritti chi è più fragile e più debole: emarginati, poveri, senza tetto.
Questo stato di emergenza ci obbliga a darci delle priorità. Cosa possiamo rimandare e cosa è invece davvero importante nella nostra vita. Ha ridotto all’essenza la nostra vita e di conseguenza le nostre relazioni. In questi giorni sembra essersi realizzata la famosa legge del contrappasso di un girone post-moderno dell’Inferno di Dante.
Questa volta, però, il peccato è stato quello di credere che attraverso uno smartphone e i social si potessero surrogare o addirittura sostituire le relazioni personali. La pandemia ci ha obbligato ad utilizzare solamente questi strumenti per rimanere in contatto con qualcuno che magari abita a 300 metri da casa nostra.
Oggi, più che mai, ci manca un abbraccio, un bacio, una stretta di mano, una pizza o un aperitivo con gli amici. A mio avviso i prossimi giorni saranno forse ancora più pesanti e occorrerà dimostrare tutta la nostra capacità di saper affrontare le difficoltà con coraggio e voglia di uscirne.
I bambini continuano a ripetere che “andrà tutto bene”, ma noi adulti sappiamo che non basta affidare il nostro futuro ad una semplice formula magica. Occorrono scelte concrete, responsabili e di giustizia.
Domani, sconfitto questo mostro, continueremo a lottare contro altri mostri, forse con più consapevolezza e determinazione, rafforzati da questa esperienza che ci ha visti come umanità lottare tutti insieme e solo a questo punto potrò rispondere a Mattia: “Sì, ce l’abbiamo fatta!”.