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"Tra legalità, rispetto dei doveri e quella che un tempo era l'educazione civica". Intervista a Francesco S. Calcara

del 2020-04-15

Immagine articolo: "Tra legalità, rispetto dei doveri e quella che un tempo era l'educazione civica". Intervista a Francesco S. Calcara

Francesco Saverio Calcara, che preferisce essere chiamato ‘educatore’ dopo aver lasciato da poco la cattedra per motivi di quiescenza, continua giornalmente a parlare con i suoi ex alunni anche di legalità. “Premesso che nutro il massimo rispetto per tutte le attività che scuola, associazioni, enti pubblici e privati mettono in campo per sensibilizzare i giovani al rispetto delle regole, devo dire che da docente mi sono sempre rifiutato di parlare di educazione alla legalità ai miei ragazzi; ho sempre detto loro che il rispetto della legge da solo non basta se non è accompagnato da ciò che io chiamo educazione alla responsabilità e rispetto del principio di giustizia.

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  • Qual è il rapporto tra legalità e giustizia?

    Se insegniamo la legge senza insegnare anche il diritto, se parliamo di legalità senza parlare anche di giustizia e di legittimità, commettiamo non soltanto un’opera diseducativa, ma un vero e proprio furto culturale, un insulto alla ragione.  

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  • Si potrebbe superficialmente pensare che l’idea di legalità si riassuma in una serie di comportamenti pratici, e quindi si può insegnare facilmente, mentre l’idea di giustizia è difficile perché teorica. Quindi, la giustizia sarebbe astratta, mentre la legalità sarebbe concreta. Io credo che sia esattamente il contrario!

    Penso che la giustizia sia ciò che il mio cuore desidera per natura: dunque, nulla di più concreto e urgente; mentre la legalità mi sembra un principio acefalo, asoggettivo.

    Senza il grande mistero della giustizia, senza la ragionevolezza del diritto, chi ha l’autorità di dirmi che cos’è legale e che cosa non lo è? Se elimino le esigenze elementari e la ragionevolezza, rimane solo il potere.

    Durante il dominio di Hitler in Germania le malefatte sue e dei suoi erano evidenti a tutti, ma il rispetto delle leggi e del potere costituito ostacolò ogni moto di ribellione, o quasi: “Abbiamo obbedito alle leggi”, fu l’alibi per tutta una generazione di tedeschi conniventi. Ecco quello che può accadere (e spesso accade) quando un valore, pur importante, viene staccato dalle esigenze fondamentali che, sole, possono renderlo comprensibile, cioè umano. Bisogna, in altre parole, interiorizzare le regole, fondarle su presupposti forti onde poi farle rispettare. Il pericolo altrimenti è che esse ci scivolino addosso.

    Quando ancora insegnavo, facevo questo esempio ai miei studenti:  Se siamo tutti d’accordo che è importante rispettare l’ambiente, perché poi non ci preoccupiamo di lasciare le nostre aule pulite? Dovremmo comportarci, forse, come il colibrì che, per salvare la sua foresta dall'incendio, raccoglie una goccia d'acqua e dà così il suo contributo.

    Ecco spiegato il senso di una frase provocatoria che un mio insegnante di liceo ci rivolgeva quando gli dicevamo, noi generazione del ’68, che volevamo cambiare il mondo: «Se pensate di cambiarlo davvero, chiedetevi prima se avete rifatto il vostro letto stamattina…».

    In un ipotetico prontuario di “comandamenti” metterei dunque, innanzitutto, il rispetto di quanto ci viene trasmesso dalla famiglia che, essendo la società naturale su cui si fonda la convivenza sociale, deve essere la prima palestra nella quale allenarsi a un codice di valori condivisi e trasmessi.

    Tale processo continua poi nelle altre agenzie educative le quali devono sentire forte il peso delle loro responsabilità in quella che una volta si chiamava “educazione civica” volta a formare una coscienza critica per la quale il rispetto delle leggi non sia un atto formale ed esteriore ma il frutto di un libero e maturo convincimento interiore”.

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