La settimana santa a Castelvetrano tra storia, devozione e partecipazione popolare. Attesa per l’Aurora. Evento in diretta su Cnews.it
del 2023-04-08
I riti della settimana santa hanno costituito, da sempre, occasione di pubbliche celebrazioni di pietà nel popolo castelvetranese. Le celebrazioni pubbliche si aprono il sabato precedente la Domenica delle Palme, cosiddetto “Sabato dell’Addolorata”, con la predica in Chiesa Madre, detta del “figliol prodigo” e la successiva processione dell’Addolorata. Il nesso è chiaro benché antifrastico: Dio cerca sempre l’uomo, la mamma cerca il figlio Gesù che a Gerusalemme va incontro al suo destino.
Il giovedì santo, inizio del triduo pasquale, si allestivano, e in parte si allestiscono ancora, sia pure non con i fasti di un tempo, i cosiddetti “sepolcri”, meglio definiti come “Altari delle reposizione”, che venivano adornati coi cosiddetti “piattini”, grano appena germinato, con chiaro riferimento al significato di rinnovamento legato al ciclo agricolo ma anche al pane eucaristico. La sera del giovedì si visitavano i Sepolcri e la tradizione voleva che dovessero essere sempre in numero dispari. Venerdì Santo, dopo l’adorazione della Croce, dalla sua chiesetta la Madonna Addolorata si reca al Calvario dove nel frattempo i confrati della Venerabile Confraternita di Maria Santissima del Pianto e dei Sette Dolori, fondata nel 1616, hanno provveduto a issare Gesù sulla Croce.
Dopo le cosiddette prediche delle sette parole, in ricordo delle parole che Cristo pronuncia sulla Croce, c’è la cosiddetta “scesa”: Il Criosto viene deposto dalla croce e adagiato in una artistica urna. Una sentitissima processione accompagna il Cristo morto e l’Addolarata in Chiesa Madre, dove l’urna viene portata nella cripta del SS.mo Sacramento ed esposta alla venerazione dei fedeli, mentre l’Addolorata fa ritorno nella sua vicina chiesetta con una andatura lentissima a significare il dolore del distacco dal Figlio.
Se la processione del venerdì santo accomuna Castelvetrano a tanti altri centri siciliani, la funzione dell’Aurora, che si tiene la mattina di Pasqua, costituisce uno specifico e quasi una sorta di prerogativa della nostra città, anche se, per la verità, in molti altri centri della Sicilia si festeggia l’incontro fra il Cristo risorto e la Vergine Maria. Ma la nostra particolarità, oltre nel nome di Aurora – che di là dal connotare l’ora mattutina in cui si svolge, ha un evidente significato propiziatorio relativo al senso cristiano della Pasqua -, consiste anche nel ruolo di messaggero ricoperto qui da un angelo, e al volo di colombe, liberate da un meccanismo che fa scivolare il mantello nero di Maria al momento dell’incontro. Il rito popolare, che si inserisce nel quadro di quella spettacolarizzazione liturgica tipica dei paesi che gravitavano nell’orbita della Spagna, fu introdotta a Castelvetrano, verso il 1660, dai padri Carmelitani scalzi di santa Teresa, il cui convento, oggi distrutto, era annesso, alla chiesa di san Giuseppe.
La confraternita dei falegnami e bottai curava l’addobbo e il trasporto del simulacro del Cristo risorto, mentre quella del Rosario si occupava della Vergine Maria. Scomparsa la compagnia del Rosario, è la confraternita di san Giuseppe, ancora esistente, a curare l’annuale appuntamento dell’ Aurora, ricorrenza di cui Castelvetrano è tanto gelosa da far nascere, non si sa bene su quale base, la convinzione che se l’ Aurora non si fa si la pigghia Trapani. Circostanza che, almeno una volta, fu seriamente temuta, nella Pasqua del 1717, allorquando, come narra il Ferrigno, per l’accidentale mancato rispetto della prerogativa della chiesa Matrice di dare i tocchi della Resurrezione, il burbero arciprete Giglio lanciò l’interdetto alla chiesa conventuale di S. Giuseppe. Il rischio che non si tenesse l’Aurora fu comunque evitato grazie al provvidenziale intervento di mons. Bartolomeo Castelli, vescovo di Mazara, che in extremis ne autorizzò lo svolgimento.
Nei tempi passati si costumava sancire addirittura nei contratti matrimoniali l’obbligo dello sposo di condurre la propria moglie alla festa dell’ Aurora e alla fiera della Tagliata. I più anziani ricordano la lunga teoria di carretti che sin dalla notte del sabato venivano dalla vicina Campobello a prendere posto per la festa dell’ indomani. Festa pagana, ha detto qualcuno; trasposizione in chiave religiosa di antichi riti primaverili legati al ciclo agricolo, pontifica qualcun altro; cosicché in passato anche qualche pretino, animato da falso spirito di rinnovamento e da uno zelo degno di miglior causa, ne aveva cautamente proposto l’abolizione.
Sembra, invece, a molti castelvetranesi che il rito vada conservato e valorizzato quale espressione della simbologia della vittoria della vita sulla morte; e ciò mi sembra importante, di là dal valore religioso che pure è importante, anche come fattore di riscatto da quella idea di morte tanto sedimentata nell’anima del nostro popolo.
Francesco Saverio Calcara