La "soavità" del Cimitero di CVetrano tra emozioni, ricordi affetti mai dimenticati. Quando ritornare a casa da' vita
del 2017-03-29
Sono trascorsi oramai tre anni da quando, per motivi meramente familiari, ho deciso di lasciare la mia bella Sicilia e la mia altrettanto bella Castelvetrano per trasferirmi a Civitavecchia. Vi ho lasciato il mio cuore e ogni volta che posso, vi faccio ritorno anche se solo per pochi giorni.
Ne approfitto per andare a Selinunte, rivedere i bei Templi del Parco Archeologico, fare una passeggiata a Marinella attraversando entrambi i moli del piccolo porto marinaro. Un’altra visita la faccio a Triscina dove, peraltro, sono proprietario d’una casetta con vista su quel bel mare azzurro. Non essendo capace di descrivere sufficientemente le emozioni che provo, lascio al lettore nostrano immaginarle.
Dedico, poi, il mio tempo alla mia città: alle chiese, alla piazza principale con il suo gioiello del Teatro Selinus e, con un non velato orgoglio, col suo “Museo Contadino Francesco Simanella” del quale sono stato uno degli artefici. Passeggiando per la via Vittorio Emanuele incontro tanti amici affezionati con i quali condivido qualche minuto di serena e corroborante rimembranza. Faccio qualche visita, poi, ai parenti e alle persone alle quali ancora oggi, nonostante la lontananza e la consequenziale scarsa frequenza, rimango più legato.
L’ho lasciato per ultimo ma, in effetti, la prima doverosa visita che vado a fare prima d’iniziare tutto il percorso affettivo ed emotivo già descritto, è a mio padre deceduto nell’anno 1981 e a mia madre scomparsa da pochi mesi. Riposano nel vecchio cimitero cittadino, proprio dietro la locale chiesetta. Dopo le preghiere e alcuni minuti interminabili di silenzio assoluto immerso nella pace che quel luogo, apparentemente ridente, emana, mi sposto in altre tombe dove altri parenti, amici e conoscenti riposano. Recito una preghiera anche per loro con un pensiero al commiato.
Passeggiando avverto come una sensazione di rilassatezza, d’abbandono, di fresca e leggiadra armonia che avvolgendomi fonde il mio animo triste con la realtà così trascendentale che quel luogo così singolare esprime. Tutti quei cipressi proiettati verso l’alto come trait d’union tra l’Ente Supremo e il Suo essere immagine sulla terra, mi regalano momenti di pura estasi mistica.
Le stradine che dividono i vari loculi, libere da autoveicoli, mi permettono di poterle attraversare senza impedimenti che possano turbare il mio leggiadro andare. I monumenti che sovrastano le lapidi del sepolcro con le loro variegate e fantasiose iscrizioni funebri in ricordo o in elogio d’un defunto, gli epitaffi, a volte mi fanno sorridere altre m'intristiscono.
Gli sfarzosi e a volte imponenti sepolcri in muratura, antichi o moderni che siano, mi provocano una certa ansia poiché vogliono esprimere, a mio parere erroneamente, che anche nell’al di là ci deve essere una differenziazione fra chi in vita è stato povero e chi no (“’A livella” di Totò docet).
Trascorrere un’oretta in un luogo così diverso dal quotidiano, m’infonde un senso d’estraneità assoluta dai problemi del sociale e del vivere comune tale da potere affermare, con estrema ratio, che non c’è luogo più bello da visitare d’un cimitero.