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Ricordando il Direttore Vito Leo. Persona carismatica, autorevole e preparata

di: Luigi Simanella - del 2019-04-10

Immagine articolo: Ricordando il Direttore Vito Leo. Persona carismatica, autorevole e preparata

Certo che la vita è davvero strana. Ho finito i miei studi scolastici, con il conseguimento della licenza liceale scientifica, nell’estate del 1975, mentre nasceva mio figlio Daniele. Avevo appena ventuno anni. M’ero sposato giovanissimo, a diciannove. Per quegli interminabili anni di studio, laboriosi e faticosi, non ricevetti alcun titolo accademico. Diversi miei amici, che hanno frequentato altre tipologie d’istituto, hanno acquisito il titolo di ragioniere, maestro, segretario, anche con percorsi scolastici inferiori del mio sia come anni di studio sia come materie studiate.

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  • La vita, però, riserva sempre delle sorprese. Per vari motivi, poi, i titoli mi sono giunti da soli anche se non conseguiti. Essendo abbastanza conosciuto a Castelvetrano, sono molte le persone che incontrandomi mi salutano. La maggior parte mi chiama maestro. Questo è dovuto al fatto che per quarant’anni ho esercitato l’attività di musicista; quindi, tutti quelli che mi conoscono in quell’ambito mi chiamano così, per com’é d’abitudine. Altri mi chiamano ragioniere. Questo è dovuto al fatto che per diversi anni ho aiutato mio suocero, commerciante, nel curargli tutte le pratiche concernenti i conti della sua azienda.

    Altri ancora mi chiamano professore. Questo è dovuto al fatto che avendo prestato servizio anche nelle segreterie delle direzioni didattiche, è abitudine chiamare i maestri professori. Loro, poi, per una forma di rispetto, ricambiano con lo stesso titolo. Ci sono, poi, quelli che mi chiamano segretario. Stesso motivo. Non essendo d’abitudine chiamare le persone per quello che rappresentano veramente, nel mio caso un amministrativo, in modo semplicistico siamo denominati segretari, forse per comodità, non l’ho mai capito. Qualcuno mi chiama anche direttore. Questo è dovuto al fatto che avendo consentito l’apertura del “Museo della Civiltà Contadina”, peraltro intitolato alla mia famiglia, con la messa a disposizione della mia collezione d’attrezzi agricoli e oggetti appartenuti al mondo rurale, mi s’identifica, erroneamente, con il direttore del museo.

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  • Dovrei ogni volta spiegare che io non lo sono e che non possiedo alcuno dei titoli succitati, peraltro mai vantati. A volte lo faccio, ma non sempre. Alla fine, se fa piacere all’interlocutore, perché dovrebbe dispiacere a me?

    Meno male che, pur scrivendo da quasi trent’anni articoli, regolarmente pubblicati in diverse testate giornalistiche, non ho mai ricevuto alcun altro titolo. Così come, pur avendo pubblicato diversi libri anche di storia, non esistendo un titolo specifico per definire la categoria degli scrittori, almeno questo me lo sono risparmiato. Per la verità, diverse volte sui vari quotidiani, anche a livello nazionale, che hanno pubblicato articoli che mi riguardano, mi hanno definito uno storico, ma questa è tutta un’altra storia.

    Insomma, dopo quarantadue anni d’onorato (credo) servizio alle dipendenze dello Stato, fra qualche mese andrò in pensione come amministrativo, senza che qualcuno m’abbia mai definito tale. Boh! Tutta questa, in parte ironica, premessa per parlare d’una persona che voglio ricordare per i motivi che andrò a esporre.

    Dopo un breve periodo di permanenza a Milano, dove iniziai la mia carriera scolastica, fui trasferito direttamente al mio paese. Era il 1980 e la nuova sede di servizio fu il I Circolo Didattico di piazza Martiri D’Ungheria, a Castelvetrano naturalmente. Siccome abitavo lì vicino, ero sempre il primo ad arrivare e, nell’attesa dei miei colleghi che venivano dai paesi vicini, accennavo qualche motivo s’un vecchio pianoforte verticale sistemato nella stanza della direzione. I colleghi, man mano che arrivavano, si rallegravano e si complimentavano. Era un modo semplice e carino per iniziare una, a volte stressante, giornata lavorativa.

    Quando arrivava il direttore, mi alzavo di scatto e mi scusavo, ma lui mi esortava a continuare, poiché aveva capito che quel tipo d’accoglienza era gradita a tutti, anche a lui. In effetti, in gioventù, anch’egli aveva fatto l’esperienza di musicista, avendo studiato la tromba con il maestro Mangiaracina e fatto parte della locale banda musicale. Ed è proprio di quel magnifico direttore che voglio parlare, Vito Leo.

    Figura altera e molto distinta, un Amedeo Nazzari d’altri tempi; persona gentile, cordiale, disponibile, rispettabile e, allo stesso modo, carismatica e autorevole. Ricordo un pomeriggio che rimasi a scuola per fare qualche ora di straordinario. Lui arrivò, inatteso, sorprendendomi insieme a un collega musicista, esterno alla scuola, intenti a provare qualche brano da eseguire l’indomani a una festa. Colto sul fatto mi scusai abbozzando inutili e sterili giustificazioni, ma lui mi disse di non preoccuparmi e di continuare ch’avrebbe fatto da spettatore. Grande direttore!

    Potrei raccontare cento aneddoti simili a questo e in tutti egli manifestò sempre la sua grande umanità sia nei miei confronti sia in quello di tutti gli altri dipendenti. Possedeva, parimenti, oltre a questa dote, una grande preparazione didattica che ci permetteva di stare sempre tranquilli, tanto c’era il direttore che, se sbagliavamo, correggeva tutti i nostri errori. Rimasi due anni con lui. Anni che mi formarono sia professionalmente sia personalmente, avevo soltanto ventisei anni a quei tempi.

    Fui, poi, trasferito a Marsala e nei confronti di quel direttore, così esemplare per me, rimase un sentimento di profonda stima e di cordiale amicizia. Quando l’incontravo per strada proferiva sempre belle parole, dispensando consigli, sorrisi e poderose strette di mano che ricambiavo affettuosamente. Contemporaneamente lui, a coronamento d’una folgorante carriera, vinse il concorso d’ispettore scolastico a Palermo e di ciò ne fui veramente felice. Credo sia stato l’unico ispettore di Castelvetrano.

    D’allora ebbi modo di vederlo più raramente e ogni volta per me era una gioia. Fui molto addolorato quando seppi ch’era deceduto. Aveva soltanto sessantasei anni, un anno in più della mia attuale età. Che peccato! L’accompagnai anch’io alla sua nuova dimora e pregai per la sua anima, anche se poteva non essercene bisogno. Grazie mio carissimo direttore Leo, porterò per sempre con me il suo ricordo e le attenzioni che mi ha riservato in quei due indimenticabili anni.          

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