Presentato al Selinus il libro di Veneziani su Gentile: "L'ultimo vero filosofo italiano"
di: Vito Marino - del 2013-11-04
Dopo più di mezzo secolo si sta cercando di rivalutare la figura del grande filosofo Giovanni Gentile. Castelvetrano, sua città natale gli ha riservato un angolo della piazza Carlo d’Aragona con due bronzi dedicati a lui. Al Liceo Classico si sono svolte diverse conferenze sulla sua personalità. La cultura, quel bagaglio di conoscenze e di pratiche acquisite, ritenute fondamentali e che vengono trasmesse di generazione in generazione, in un paese democratico non può tenere conto degli ideali politici di un filosofo della portata di Gentile. In ogni caso nel valutare un personaggio è giusto anche mettere in evidenza i lati negativi.
Giovanni Gentile nato a Castelvetrano il 29/05/1875, fu un importante protagonista della cultura italiana nella prima metà del XX secolo, un filosofo e pedagogista che, insieme a Benedetto Croce, fu uno dei maggiori esponenti del neoidealismo filosofico. Con l’avvento del fascismo aveva svolto una fondamentale azione in favore della legittimazione storica e ideologica di quella corrente politica. Il 31 ottobre 1922, all'insediamento del regime viene nominato da Mussolini ministro della Pubblica Istruzione. Il 5 novembre dello stesso anno diviene senatore del Regno.
Nel 1923 attua la cosiddetta “Riforma Gentile” per le scuole, fortemente innovativa rispetto alla precedente riforma basata sulla legge Casati del 1859; nello stesso anno Gentile si iscrive al Partito Nazionale Fascista (PNF) con l'intento di fornire un programma ideologico e culturale. Nel 1924, dopo l’uccisione del socialista Matteotti, diede le dimissioni da ministro e viene chiamato a presiedere la “Commissione dei Quindici” per il progetto di riforma dello Statuto Albertino.
Fu professore di filosofia teoretica, di pedagogia e di storia della filosofia nelle università di Palermo, Pisa e Roma, commissario della scuola normale superiore di Pisa, direttore della Scuola Normale superiore di Pisa e vicepresidente dell'Università Bocconi di Milano. Fu direttore scientifico dell'Enciclopedia italiana dell'Istituto Treccani e vicepresidente dell'istituto.
Tralascio le moltissime altre prestigiose incombenze. Benché non potessero essergli attribuiti personalmente crimini di nessun genere, Gentile aveva sostenuto pubblicamente i metodi squadristi e l'uso della violenza e della prosecuzione della guerra a fianco dell'alleato tedesco; nel 1938 compare assieme a Giuseppe Tucci e a molti altri intellettuali come firmatario del “Manifesto della razza”, pubblicato sui giornali, in appoggio alle leggi razziali stesse, appena emanate. “Il Manifesto degli scienziati razzisti” fu sottoscritto da centottanta scienziati del regime e pubblicato sul Giornale d’Italia il 14 luglio 1938.
La “Dichiarazione sulla razza” fu approvata dal Gran Consiglio del Fascismo il 6 ottobre 1938 e qualche giorno dopo venne pubblicata sul Foglio d’ordine del PNF. Per tali motivi venne odiato dagli antifascisti e, con l’avvento della democrazia è rimasto sconosciuto per più di mezzo secolo dalla sua morte. La dittatura e la guerra disastrosa avevano lasciato una cicatrice troppo profonda nell’economia e nell’animo degli italiani, molti dei quali avevano ancora l’amaro in bocca dell’olio di ricino elargito generosamente dai gerarchi fascisti. Tuttavia Gentile disapprovò gli eccessi criminali del Reparto “Servizi Speciali di polizia di Carità” che allora operava a Firenze minacciando di denunciarlo, tanto che in un primo tempo si pensò che la sua uccisione fosse stata commessa proprio da componenti della banda, allo scopo di porre fine alle proteste del filosofo verso le loro violenze.
Egli intervenne più volte per aiutare numerosi antifascisti chiedendo per loro la grazia. Considerato da componenti della resistenza come uno dei principali responsabili e teorici del regime fascista, fu ucciso il 15 aprile 1944 da un gruppo partigiano fiorentino aderente ai GAP di ispirazione comunista. Fu un episodio che divise lo stesso fronte antifascista e che ancora oggi è al centro di polemiche non sopite.
La soppressione di Gentile, infatti, già all'epoca fu disapprovata dal CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) toscano con la sola esclusione del Partito Comunista Italiano. Per rivalutare il pensiero filosofico del Gentile Giovedì 31 ottobre, presso il teatro Selinus di Castelvetrano si è svolta a cura del Centro Internazionale di Cultura Filosofica “Giovanni Gentile”, e con il patrocinio della Civica Amministrazione castelvetranese, la presentazione del libro “Pensare l’Italia”, un’antologia di scritti del filosofo Giovanni Gentile, autore Marcello Veneziani (Casa editrice Le Lettere, Firenze 2013).
Oltre all’autore al tavolo dei relatori sono stati presenti: Tommaso Romano vicepresidente dell’Istituto Siciliano di Studi Storico Politici Economici (ISSPE) e della Fondazione “Ignazio Buttitta” e hanno partecipato i nostri illustri concittadini Francesco Saverio Calcara, Giuseppe Bongiorno e Vincenzo Corseri. Marcello Veneziani, filosofo di formazione, saggista ed editorialista de “Il Giornale” –, ha fondato i settimanali “L’Italia” e “Lo Stato”. È autore, tra l’altro, di Processo all’Occidente (Milano 1990), La rivoluzione conservatrice in Italia (Milano 1994²), Sinistra e Destra (Firenze 1995), L’Antinovecento (Milano 1996), 68 pensieri sul ‘68 (Firenze 1998), Il secolo sterminato (Milano 1998), Il segreto del viandante (Milano 2003), I vinti (Milano 2004), La cultura della destra (Roma-Bari 2007²), Di padre in figlio. Elogio della Tradizione (Roma-Bari 2002), La sconfitta delle idee (Roma-Bari 2005), La sposa invisibile (Roma 2006), Contro i barbari. La civiltà e i suoi nemici interni ed esterni (Milano 2006), Comunitari o liberal. La prossima alternativa? (Roma-Bari 2006)
L’autore partendo dal concetto che l’Italia di oggi, a causa della sua crisi economica, politica e principalmente morale è diventata davvero una espressione geografica, ricorda che Gentile in un momento difficile durante la guerra disastrosa, in un suo “Discorso agli italiani” tenuto il 24 giugno al Campidoglio a Roma, li esorta all'unità nazionale.
Veneziani asserisce che Giovanni Gentile fu l’ultimo grande filosofo a pensare l’Italia attraverso una teologia civile, una riforma religiosa applicata alla politica e una religione civile legata allo spiritualismo politico e al pensiero nazionale. Egli chiama profeti i grandi pensatori italiani a partire da Dante e considera il nostro Risorgimento come la Resurrezione dell’Italia intesa alla maniera di Mazzini come missione fondata sulla religione della patria e percorsa dal primato morale e civile, ma anche filosofico e culturale, italiano.
Veneziani nel suo saggio introduttivo afferma che “Con Giovanni Gentile finì la grande filosofia italiana. Dopo di lui o non fu grande, o non fu vera filosofia, o non fu italiana. Dopo Gentile il pensiero non ebbe più fiducia in se stesso, si risolse nella razionale o irrazionale disperazione o si occupò di linguaggi e procedure. Da qui la grandiosa inattualità di Gentile”.