(Cultura) Il racconto letterario del lettore
di: Alfonso Indelicato - del 2014-07-06
(ph. www.giornalettismo.com)
L’alto prelato, innalzato da poche settimane alla prestigiosa carica di ***, rifletteva seduto alla sua scrivania. La finestra era aperta ma con le persiane semichiuse, per impedire che il calore dell’estate tardiva irrompesse nella stanza silenziosa, insieme alla luce abbacinante.
Il religioso era soddisfatto del lavoro svolto da quando gli era stato affidato l’alto ufficio, ma non completamente. Mancava qualcosa al successo che già gli arrideva. Un tratto di strada era ancora da percorrere.
Sì, le sue abituali apparizioni in televisione erano assai seguite dal pubblico e riscuotevano un largo successo (invero suscitavano anche qualche contrarietà, ma questo è nell’ordine delle umane cose). La maggior parte dei quotidiani e delle riviste, legate e non legate alla Chiesa, pubblicava le sue dichiarazioni con commenti improntati a una stupita ammirazione.
Eppure qualcosa ancora mancava. L’attenzione che gli veniva riservata non aveva la dovuta continuità. Andava e veniva … La gente si dimenticava in fretta. Occorreva qualcosa di veramente importante, che lasciasse accesi i riflettori a lungo. Anzi, più che a lungo: stabilmente.
Premette un pulsante di fronte a sé e un trillo lontano rispose nelle stanze in penombra. Dopo un periodo che gli sembrò eccessivamente lungo, la porta dai vetri smerigliati si socchiuse, e si materializzò il viso grassoccio e un po’ inespressivo di don Balivo.
Un buon diavolo di prete, don Balivo. Ordinato e preciso, sotto tanti aspetti era un segretario perfetto. Ma era troppo riservato, e silenzioso, e ritroso nei momenti in cui il vescovo avrebbe voluto il riscontro di un entusiasmo che si accendesse all’unisono con il proprio.
E ora, al solito, quello se ne stava lì, dietro la porta appena socchiusa, con il faccione in penombra e lo sguardo incerto di chi non sa che fare.
- Ma entra dunque, entra! – esclamò il cardinale un po’ spazientito. Don Balivo entrò strascicando i piedi sul parquet e si avvicinò alla scrivania. Il Cardinale gli fece cenno di sedersi.
- Ascolta don Balì. Ho un consiglio da chiederti.
– Il vescovo sapeva che il suo segretario, dietro l’apparenza dimessa e perfino un po’ ottusa, possedeva una sua cognizione teologica e umana.
- Ti devo chiedere un parere, quindi stai bene attento alle mie parole. Ho intenzione di farmi postulatore di una causa di beatificazione. Che ne dici, eh?
– Don Balivo rimase perplesso, anche se la congenita inespressività ne celava i sentimenti. Conosceva Sua Eminenza da poche settimane ma, per l’idea che si era fatta di lui, non era proprio tipo da occuparsi di quel genere di cose. E poi egli lo stava guardando con quel suo sguardo aguzzo, indagatore, un po’ sarcastico.
Lo sguardo di chi aveva per la testa qualcosa di molto originale.
- Eminenza, se ha pensato a una persona degna, lo sarà senz’altro. Poi, lei conosce la procedura meglio di me … -
- Ma io non voglio consigli sulla procedura, voglio il tuo parere sull’uomo.
- E pronunciò il nome e il cognome del prescelto, scandendone bene le sillabe con voce sonora.
Don Balivo rimase immobile e in silenzio per quasi un minuto. Chi non lo conosceva avrebbe potuto pensare che non avesse udite le parole del vescovo, o non le avesse comprese. Guardava fisso il suo illustre interlocutore tenendo le palme delle mani appoggiate sulle gambe, rigido, senza un’espressione particolare.
Poi, con voce quasi sussurrata, protendendo appena il capo di fronte a sé, osservò educatamente: - Eminenza, ma il Saviano è vivo. – * * * - Embè? – rispose il cardinale con vivacità. – E ci fermiamo di fronte a ciò?
Don Balì, don Balì, ma non ti sei accorto di quante cose stanno cambiando? Ma vogliamo essere all’altezza di questo tempo nuovo che si sta vivendo, o ce lo facciamo passare dinnanzi così? Lascia stare le procedure ti ho detto, e cerca di guardare oltre. Io voglio sapere da te se beatificare Saviano avrebbe un buon ritorno per noi.
– Il prete non voleva credere alle sue orecchie. Ma il bello era che quella follia gli sembrava ora quasi possibile, considerata la noncurante sicurezza con la quale il vescovo aveva parlato. E considerando anche tutti i mutamenti dei quali, in effetti, egli (come tutti …) era stato spettatore da più di un anno a quella parte.
- Non so che dirle, eminenza … Le regole sono chiare. Non si può fare uno beato in vita.
Sarebbe, se mi permette, una contraddizione nei termini. Essere beato, infatti, significa essere già in Paradiso. E, da quel luogo di Grazia, intercedere presso il Signore per ottenere dei miracoli secondo le preci dei devoti.
- Qui il cardinale, visibilmente irritato, impugnò una penna e cominciò a picchiarla ritmicamente sul tavolo, di punta.
- Tu ti intigni nelle questioni teologiche, Balì, ma io non te l’ho chiesto, io ti ho chiesto altro. E poi, nel merito, non ti sembra che ne abbia già fatti miracoli, quest’uomo? Quando le piazze si riempiono di giovani che strepitano contro la camorra, non è un miracolo questo?
Quando si crea un movimento d’opinione, si mobilitano la scuola e l’università, i sindacati, si coinvolgono i media? Se non sono miracoli belli e buoni questi, mi dici tu che sono, eh? Eh?”
– E sull’ ultimo “eh?” picchiò ancora una volta la penna sulla scrivania con un gesto enfatico e poi la lasciò cadere.
Don Balivo taceva, come stordito dal torrente delle parole appassionate. Pensava intensamente, quasi disperatamente, a come compiacere il suo superiore, quell’uomo che aveva deciso e poi aveva cercato di servire con abnegazione, nonostante lo sentisse così diverso da sé. Ma non gli venivano in mente scappatoie. Anzi ora si sentiva dentro come il raggrumarsi di qualcosa di denso e resistente, qualcosa che gli impediva di acconsentire al suo vescovo.
- Una cosa vorrei chiederle, eminenza. – - Di’, di’… Santa pazienza ... finalmente! Ti ho chiamato per questo. – E aspettava, con la curiosità dipinta sul mobile viso. - Le risulta, se non altro, che il Saviano sia praticante?...
Credente almeno? – Monsignor *** si lasciò andare all’indietro di scatto, appoggiando la schiena all’alto schienale ligneo, e allargò le mani con un gesto disarmato. Guardando il povero don Balivo, la sua bocca si era fatta stretta come una fessura e scuoteva lentamente il capo, come di fronte all’incorreggibile. Don Balivo col capo basso ora taceva.
- Balì, ti ho chiesto troppo. Non facciamone niente … puoi andare. – e il vescovo fece un gesto sbrigativo con la mano, indicando la porta. L’umile prete uscì come era entrato, strascicando i piedi, e lasciando l’alto prelato preda di un nervosismo stizzoso.
Egli andava ora cincischiando gli oggetti sparsi sulla scrivania, li spostava senza costrutto di qua e di là, borbottava fra sé e sé mozziconi di frasi accompagnandole con smorfie allusive. Ogni tanto, preda di un impulso ancora più incontrollato, afferrava l’agenda di pelle e la sbatteva con forza sul pianale coperto di pelle borchiata.
Le parole del segretario erano state una doccia gelata sul suo entusiasmo, anche perché egli non poteva non riconoscere in esse la presenza di un fondamento. E il fondamento era poi quella Dottrina che egli stesso aveva, nella lontana giovinezza, fatto sua.
Ma proprio questo, in verità, lo indispettiva: che quel povero prete fosse riuscito a toccare, col suo piatto buon senso espresso in punta di catechismo, dei nuclei dentro di lui antichi ma ancora vivi e operanti, resistenze non del tutto dissolte, e che ancora impedivano alla volontà generosa di rompere gli schemi e andare incontro alle nuove esigenze del popolo di Dio, ottenendo il definitivo riconoscimento che tutto ciò meritava.
Frustrazione, dispetto. Prese in mano il cellulare. Lo accostò all’orecchio. Quindi lo ripose sulla scrivania. Si prese la testa fra le mani, mettendosi a cercare dentro di sé le parole giuste. Non sarebbe stato facile dire al suo interlocutore che per ora non se ne faceva niente. Che in questo momento non se la sentiva di procedere, e che la causa di beatificazione era rimandata.