Evento in ricordo di Pino Veneziano: l'artista che collaborò con De Andrè innamorato di Selinunte
del 2014-07-20
«Lu sicilianu è ‘nta tuttu u munnu», così cantava Pino Veneziano, poeta popolare scomparso nel ’94, apprezzato da Borges, Lucio Dalla e Fabrizio De Andrè che lo volle come spalla al suo primo concerto in Sicilia. L’omonimo Premio, giunto alla sua X Edizione, si terrà sabato 26 luglio a Selinunte (TP), nel suggestivo parco archeologico, con inizio alle ore 21,30. “Una decima edizione che cade insieme al ventesimo anniversario della scomparsa di Pino – dice il direttore artistico Umberto Leone – vuole premiare i fratelli Mancuso e il regista Davide Gambino, tre siciliani che la loro sicilianità la vivono in modo simile e opposto: dentro e fuori. I fratelli Mancuso, dalla loro terra emigrati a Londra e che ora vivono nel centro Italia, della Sicilia portano nel mondo la sua esplicita espressione culturale, proponendone musica e canti.
Il regista Davide Gambino, nato e cresciuto a Milano e che in Sicilia ha vissuto solo l’età dell’adolescenza - quella che forma corpo e anima -, ora che se ne è riallontanato racconta di una Sicilia intima e profonda, quella che gli affiora dal di dentro”. Il programma della serata prevede, dopo la cerimonia di premiazione e l’intervista a Davide Gambino, un concerto delle canzoni di Pino eseguite da Rocco Pollina, Giana Guaiana & Pippo Barrile, Umberto Leone, Massimo Patti e Giovanni Mattaliano. A seguire, l’esibizione dei Fratelli Mancuso.
«Ricordo Selinunte ai tempi di Pino – dice Gaspare Giglio, presidente dell’Associazione culturale Pino Veneziano che organizza il Premio –. Il suo ristorante era diventato un punto di riferimento per gli abitanti della borgata di Marinella di Selinunte, soprattutto per i giovani che così avevano l’opportunità di venire a contatto con molte personalità provenienti da fuori: giornalisti, artisti, uomini di cultura…che si fermavano ad ascoltarne le canzoni.
Una commistione di arte genuina e natura ancora incontaminata che attirava molte intelligenze. E oggi il “Premio Pino Veneziano” vuole essere l’occasione per far sì che Selinunte torni a fare cultura e torni a essere terra di incontri, socialità e scambi». Il Premio Pino Veneziano è promosso dall’omonima associazione culturale con il sostegno del Comune di Castelvetrano (TP).
«Il nostro obiettivo – dice il vicesindaco e assessore alla cultura di Castelvetrano, Marco Campagna – è far diventare il Premio dedicato a Pino il fiore all’occhiello della politica culturale di Castelvetrano e dell’estate di Selinunte. Senza memoria non c’è futuro.
E mantenere viva la memoria di Veneziano, nutrendola con il contributo di alcuni tra i più interessanti artisti contemporanei, vuole essere anche un éscamotage per ricreare, amplificandola, l’atmosfera magica d’incontro e scambio di intelligenze e sensibilità che si respirava a Selinunte ai tempi di Pino».
Pino Veneziano nasce a Riesi il 2 luglio del 1933. Durante la guerra, il padre carabiniere che ha prestato servizio prima a Castelvetrano e poi a Sciacca, abbandona la famiglia. Pino, interrompe la seconda elementare e comincia a lavorare come guardiano di capre e garzone di fornaio. A 17 anni, con la madre e il fratello, si trasferisce a Castelvetrano, dove lavora come garzone nei bar.
Agli inizi degli anni ’60 è cameriere a Selinunte e verso la fine del decennio, con due amici, apre il suo primo ristorante. Impara a suonare la chitarra a circa 40 anni. Poco dopo scrive la sua prima canzone, “Lu sicilianu”. Le altre vengono quasi una dopo l’altra: una trentina circa. Negli anni ’70 e fino alla metà degli anni ’80 il ristorante Miramare, e poi il Lido Azzurro, diventano un punto di riferimento per la borgata di Marinella di Selinunte. Pino serve ai tavoli e poi canta le sue canzoni.
Tra i suoi clienti ci sono anche Lucio Dalla e Fabrizio De Andrè, che lo vuole come spalla nel suo primo concerto in Sicilia. Pino regala le sue canzoni anche alle Feste dell’Unità. Nel 1975 incide il suo primo e unico disco,
“Lu patruni è suvecchiu” (Il padrone è di troppo), edito dai Circoli di Ottobre; il poeta Ignazio Buttita nella nota di copertina lo definisce: «Un cantastorie che fa politica e la sublima con la poesia». Nell’estate del 1984 nel ristorante di Pino si ferma anche Borges, il quale si commuove ascoltando le sue canzoni che, per lui, non hanno bisogno di traduzione. Chiede anche di accarezzare il volto di Pino per “vederlo”.
Nel 1984 una compagnia di anziani di Riesi in gita a Selinunte, casualmente fornisce a Pino informazioni su suo padre che si trova in una casa di riposo a Gela. Quando va a trovarlo scopre che anche il padre suona la chitarra e canta motivi popolari. Il 1986 è l’ultimo anno in cui Pino lavora al ristorante; intristito dalla morte della moglie (avvenuta nel 1980) e provato da una vita di fatica, per arrotondare la pensione fa il posteggiatore al Parco Archeologico di Selinunte. Continua, comunque, a scrivere canzoni.
Muore il 3 luglio 1994, il giorno dopo il suo compleanno. RICORDI “ECCELLENTI” tratti da “Di questa terra facciamone un giardino”, tributo a Pino Veneziano a cura di Rocco Pollina e Umberto Leone. Vincenzo Consolo:
«Mentre Buttitta e la stessa Balistreri cantavano una Sicilia e un’Italia del secondo dopoguerra, delle lotte contadine e dei sindacalisti uccisi dalla mafia, della seconda grande migrazione nel centro Europa di masse di braccianti, Pino Veneziano cantava l’atroce Italia dei roventi anni Settanta, del regime democristiano, della corruzione e delle stragi perpetrate dai fascisti».
Ignazio Buttitta: «Un cantastorie che fa politica e la sublima con la poesia. Il suo discorso è semplice, popolare, ma convincente.
E riesce a farsi capire dai braccianti, in maggioranza analfabeti e semianalfabeti. Gli argomenti sono la verità cantata da popolano a popolano, senza inganni». Ascanio Celestini: «La cosa che mi colpisce di Pino Veneziano è che uno di quei cantanti-artisti della cultura orale che in altre nazioni, per esempio gli Stati Uniti d’America, sarebbero diventati oggetto di culto, un po’ come Woody Guthrie o i padri del blues. Purtroppo in Italia si è perso questo legame con i nostri padri musicali della cultura orale». Gaetano Savatteri: «La voce di Pino Veneziano fa affiorare l’incanto delle notti stellate, la risacca del mare, le poche case affacciate sulla spiaggia, la forza selvaggia di una natura che prendeva il sopravvento perfino sulle rovine antiche.
Un mondo che non c’è più. Un mondo scomparso. La voce di Pino ci parla di quel mondo, di quel tempo. Ma non è una voce spenta. Non è una voce sopraffatta. Ci parla ancora. Ci cunta ancora canzoni». Enrico Stassi: «Per molti di noi negli anni Settanta, Pino e Marinella di Selinunte erano la stessa cosa e potevamo dire allo stesso modo: “Andiamo da Pino” o “Andiamo a Selinunte”.
Sapevamo come sarebbe andata: avremmo mangiato da dio, alzato un po’ il gomito, avremmo ascoltato le canzoni di Pino, suonato e cantato insieme a lui, ci saremmo sentiti ancora una volta con un futuro davanti e tutto per noi.
Ma allora si viveva sull’onda e sulle emozioni del momento: il tempo dell’azione superava sempre quello, più lento, della riflessione. Ecco perché solo in questi ultimi anni, tornando indietro nel ricordo e grazie al contributo di Umberto (Leone) e dei tanti amici di Pino, ci si è resi veramente conto di quale sensibilità umana e politica fosse ricco il suo mondo poetico, di quante insospettabili e importanti frequentazioni fosse punteggiata la sua vita, di quanto fosse necessario provare a raccontarlo e ricantarlo. La memoria di Pino Veneziano, in fondo, è la nostra memoria, e rimane un inutile esercizio stabilire se eravamo la “meglio” o la “peggio” gioventù».