Quando non c'erano i termosifoni e il braciere di rame scaldava le case dei nostri nonni
di: Anna Maria Bono - del 2018-11-29
Appare difficile quantificare il numero di persone che potrebbero ancora ricordarsi del “Caldanino”, ossia il più diffuso e utilizzato calorifero dei nostri nonni. Esso era, generalmente ma non solo, formato dalla “tannura” piena di carbonella ardente e dal “Circu”, cioè una struttura a forma di campana abitualmente costruita col giunco.
Proponiamo un raccondo della maestra Anna Moro che sicuramente desterà un senso di nostalgia ai tanti lettori che leggeranno le sue parole:"Al primo freddo, verso la fine di novembre, nonna Sara tirava fuori da una grossa scatola di cartone, riposta giù in cantina a partire dal mese di maggio, un braciere di rame.
Circa 70 anni fa i bracieri erano in uso in tutte le famiglie, di qualsiasi ceto sociale, perché la possibilità di riscaldare con il carbone acceso un ambiente era alla portata di tutti. Per me, già a partire dall’età di 6 anni, era un evento eccezionale, importantissimo,
Ricordo la nonna china, intenta a lucidare il suo braciere con il succo di limone e la sabbia fine e lo strofinava talmente a lungo, da farlo luccicare come l’oro. Mi piace evidenziare che in quel periodo molti oggetti di uso domestico erano di rame, quali pentole, posate, lumi a petrolio… e che occorreva tenere in casa una buona scorta di sabbia fine che nonno Giovanni aveva cura di andar a prelevare periodicamente con il carrozzino tirato da Giorgio, il cavallo di famiglia, a Mazara, presso la spiaggetta sottostante la chiesa di San Vito a mare. Questa mia divagazione è dovuta al bisogno di avvalorare i ricordi, perché per le donne era motivo di vanto e di orgoglio che tutto fosse lucidato a perfezione… soprattutto il braciere di rame.
Nel tardo pomeriggio e per tutta la sera la vita di famiglia si concentrava attorno a quel braciere acceso, dove ci si riscaldava le mani, intanto che si parlava dell’andamento dei prezzi dei prodotti agricoli, degli scorci di vita paesana, delle necessità dei vari familiari.
Io personalmente aspettavo il mio turno…nella certezza che qualcuno dei grandi mi raccontasse una favola… cosa che avveniva puntualmente perché, attorno a quel braciere, c’erano tutti i miei affetti più cari…compreso Marco, il gatto della nonna. Allora quella camera assumeva la sacralità di un tempio, anche perché sui tizzoni ardenti venivano posti scorze di arance, di mandarini, piccioli di fichi secchi, pezzettini di cannella, chiodi di garofano …che esalavano profumi ed aromi intensi ed esaltanti.
Quasi tutte le sere io cenavo con l’uovo cotto dentro la cenere calda del braciere… niente di più gustoso poi mangiato in vita mia… e, credetemi, non è certamente il ricordo della soddisfazione del palato a invadere ancora oggi il mio cuore di nostalgia e di tenerezza…