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"Ci voli murtidda p’apparari ‘u Santu". Storia di un detto antico ma sempre attuale e conosciuto anche a Salemi

del 2018-07-30

Immagine articolo: "Ci voli murtidda p’apparari ‘u Santu". Storia di un detto antico ma sempre attuale e conosciuto anche a Salemi

"Ci voli murtidda p’apparari ‘u Santu", Una frase che tanti di noi abbiamo sentito, ma perchè viene pronunciata?

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  • La festa di San Giuseppe, 19 Marzo, è una festa molto sentita in Sicilia. A Salemi, coinvolge molti abitanti del luogo che iniziano con i preparativi delle Cene di San Giuseppe alcune settimane prima del giorno dedicato al Santo.

    La cena consiste in un banchetto che i devoti offrono a tre bambini che simboleggiano la Sacra Famiglia. Gli uomini, preparano in una stanza piccoli altari dalla struttura in legno e a pianta circolare o quadrata; tutta l’impalcatura viene ricoperta interamente di ramoscelli di mirto odoroso ed alloro e poi decorata con arance, limoni e pani.

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  • I pani si presentano nelle più svariate forme. I principali simboli rappresentati sono quelli della tradizione cristiana, come il pesce, o i simboli della pentecoste, cioè la scala, la tenaglia o i tre chiodi. Oltre a questi, di chiaro riferimento religioso, le altre forme rappresentate fanno riferimento alla natura....Il devoto che organizza la cena deve allestire un pranzo di 101 pietanze, per lo più a base di cereali, verdure, frutta, pesci e dolci in grande varietà.

    Dopo la celebrazione del rituale della benedizione dell' altare e dei pani, il cibo è offerto ai bambini, che rappresentano la "Sacra Famiglia", e ai visitatori che hanno assistito alla "mangiata di li santi". 

    Il 19 marzo è la giornata più importante dei festeggiamenti di San Giuseppe. In mattinata Santa messa in Piazza Dittatura, a mezzogiorno «L’invito dei Santi» nella Chiesa di San Giuseppe, sempre nel centro storico, durante il quale è possibile degustare numerose pietanze tipiche.

    Nella «Cena» della Chiesa di San Giuseppe è possibile inoltre assistere alla tradizionale recita delle «Parti di San Giuseppe», cantilene e preghiere, litanie o canti, antiche «laudi» popolari in dialetto, tramandate oralmente da padre in figlio, che vengono recitate dai devoti, davanti agli altari, al Santo. Questi monologhi a soggetto sacro, in rima baciata o alternata, diventano vere suppliche di fedeli che, con passione devota e fede profonda, inneggiano alla vita del "Patriarca" ed esaltano la ricchezza della cena a gloria dell’Altissimo.

    Ogni composizione in versi, con l’incisività del dialetto e con la ritmata cadenza, esprime la forza dei sentimenti della gente isolana semplice e spontanea. Il cantastorie, fiero depositario della parola «antica», viene ricompensato con un bicchiere di buon vino e porta con sé «un signaleddu di la cena», offerto dal padrone di casa.   

    Gli Altari, incantevoli nella loro bellezza, costituiscono uno dei grandi tesori artigianali della Sicilia. Queste mense, riccamente imbandite e decorate con i pani squisitamente modellati in forme diverse, vengno allestite su una struttura in legno o in ferro con colonnine portanti, fatte di canne intrecciate, che convergono in alto formando un tetto a cupola; l’architrave e il fregio frontale completano l’impalcatura, che viene interamente ricoperta da ramoscelli di alloro e di “murtidda” odorosa (bosso), elementi ornamentali che hanno un significato propiziatorio. Ultimata la struttura, vi si appendono a decorazione piccoli pani artisticamente lavorati, secondo un ordine ben definito, e arance e limoni appena colti.  Al centro, addossato a una parete interamente rivestita con un drappo bianco, si prepara un piccolo altare con cinque ripiani degradanti, tutti ricoperti di candidi lini ricamati, e si appende in alto un quadro raffigurante la Sacra Famiglia.

    Ai lati si dispongono delle mensole con bianche tovaglie ricamate su cui si poggeranno oggetti simbolici di significato costante e di facile lettura: caraffe di vino, vasi di fiori, garofani e “balacu” (violaciocche), frutta, fette di rossa anguria di gesso, lumini, candelabri, vasi con pesciolini rossi, arance e limoni alternati al pane.

    Ai piedi dell’altare si stende un tappeto dove vengono posati un agnello di pane, di gesso o di cartapesta, in riferimento al sacrificio di Cristo, un’anfora con acqua e un bianco asciugamano, disposto a forma di “M”, per ricordare la purificazione, dei piatti con germogli di frumento, che inneggiano alla terra, tutti simboli presenti nei sepolcri pasquali. 

    Le “cene” non sarebbero complete se mancassero ai piedi delle colonne portanti dei mazzi di finocchi verdi, segno di abbondanza. Il “pane dei santi”, viene appoggiato sull’altare, mentre migliaia di piccoli “pani da mensa”, legati ad asticelle di canna con filo di cotone, sono appesi tra il verde scuro della cappella, secondo un ordine vincolato anche a regole di simmetria.

    Nel centro del tempio viene sistemato il piccolo tavolo per il pranzo dei “santi”, imbandito con pane, arance, una bottiglia di vino e fiori. Un ramo di alloro intrecciato all’angolo della via o alla porta spalancata della casa, richiama i visitatori devoti, che si susseguono in fitto pellegrinaggio fino a tarda sera per ammirare l’incantevole altare e propiziarsi.

     

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