Come reagiscono i familiari di fronte alla depressione di un proprio caro?
di: Dott.ssa Fabrizia Modica - del 2021-02-11
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Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, la depressione sarebbe diventata entro il 2020 la seconda malattia più diffusa al mondo in termini di frequenza, costi ed effetti debilitanti.
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In questo articolo però, il focus della mia attenzione è rivolto alla famiglia o a chi, in generale, si scontra con questa patologia attraverso un proprio caro.
La sofferenza di un figlio, di una madre, di un padre coinvolge e sconvolge al tempo stesso l’intero nucleo familiare. Chi vive a stretto contatto con un soggetto che presenta una patologia depressiva vive spesso infatti sentimenti contrastanti: frustrazione, ansia, stanchezza, tristezza e rabbia, sono solo alcune delle conseguenze che il gruppo sperimenta.
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Spesso la famiglia, gli amici, non sanno decifrare il comportamento adatto da adottare e spesso si rischia di turbare ancora di più il fragilissimo equilibrio psichico di chi sta affrontando il disturbo.
Molti membri delle famiglie coinvolte riferiscono spesso che i pensieri sperimentati con più frequenza sono:
• “Ma perché è capitato proprio alla mia famiglia?”
• “Secondo me sta esagerando e ingigantendo i suoi sintomi!”
• “Non ha niente, vuole solo attenzioni!”
È doveroso sottolineare che la maggior parte delle difficoltà che si incontrano nel sostenere e aiutare chi soffre di depressione derivano dai pregiudizi che accompagnano questa patologia e soprattutto dall’apparente invisibilità del disturbo che viene spesso trattato come uno stato d’animo passeggero.
Questo inevitabilmente genera frustrazione in chi vive la malattia che spesso dichiara di non sentirsi compreso e avverte la sensazione di essere solo di peso alla sua famiglia. Inutile dire che questo quadro aggrava lo stato di sofferenza del soggetto depresso.
Quale è quindi il comportamento più adeguato che la famiglia dovrebbe adottare? Intanto il primo passo è quello di accettare che la depressione è una malattia a tutti gli effetti anche se non presenta sintomi visibili. Alcune tecniche che ingenuamente si adottano come quella di esortare all’ottimismo (“Non hai niente, stai tranquillo, è solo un momento che passerà!”) o di puntare sull’orgoglio personale (“Vergognati, stai tutto il giorno a non fare nulla!”) o sulla buona volontà (“Sforzati, fai qualcosa di utile che starai meglio”) sono tecniche che, per quanto fatte a fin di bene, non aiutano, anzi, generano sconforto e aumentano il senso di solitudine. Piuttosto bisogna semplicemente assumere un atteggiamento di comprensione e di vicinanza (così come fareste nel caso di un’altra qualsiasi malattia).
Dott.ssa Fabrizia Modica