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La Beat Generation tra ricordi, musica e arte

di: Luigi Simanella - del 2019-02-28

Immagine articolo: La Beat Generation tra ricordi, musica e arte

(ph. www.lavocedileonardoblog.wordpress.com)

Il 1965 è stato anche l’anno in cui in California, a S. Francisco, città alla quale il noto compositore americano Scott Mackenzie ha dedicato l’omonima canzone, scoppiò il fenomeno detto beat generation, un movimento di protesta meglio noto come Figli dei Fiori per il particolare abbigliamento che indossavamo (ne facevo parte anch’io) composto di camicie e blue jeans strappati, ricamati e molto colorati con disegni a fiori e fantasia.

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  • Il nostro ideale era di combattere l’ideologia della guerra (allora c’era in corso quella spaventosa, inutile ed efferata del Vietnam) rifiutando le regole e i costumi d’una società consumistica. Noi ragazzi del movimento, detto anche degli hippies, sognavamo solo un mondo di pace. Il nostro slogan era “Fate l’amore, non fate la guerra”.

    Il 16, 17 e 18 giugno del 1967 il popolo beat si riunì in un maxi raduno in occasione del Festival di Monterey in California. Di quel magico e unico evento fu prodotto anche un film, proiettato per la prima volta a New York nel mese di dicembre dello stesso anno. Al concertone parteciparono tutti i più grandi gruppi della musica internazionale, ma in special modo quelli di San Francisco ch’avevano sviluppato quel rock psichedelico tanto caro alla generazione hippie.

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  • Essi alla guerra preferivano la libertà, la pace e l’amore inteso in tutti i sensi e che culminò nella “Summer of Love”, la calda estate dell’amore e della passione che riunì decine di migliaia di giovani sotto un’unica bandiera e con un unico ideale. Enrico Maria Papes, voce del gruppo musicale italiano targato anni sessanta dei “Giganti”, cantava, nella famosa canzone “Tema”, “Mettete dei fiori nei vostri cannoni”. Gianni Morandi ribadì il concetto nella sua indimenticabile “Un Mondo d’Amore”.

    Il nostro grande Celentano non fu vicino al movimento e nella sua canzone “Tre passi avanti”, nell’introduzione al brano recitava: “Caro beat mi piaci tanto, sei forte perché hai portato oltre alla musica dei bellissimi colori che danno una nota di allegria in questo mondo pieno di nebbia. Però se i ragazzi che non si lavano, quelli che scappano di casa, e altri che si drogano e dimenticano Dio fanno parte del tuo mondo, o cambi nome o presto finirai”.

    Cominciava, poi, il brano vero e proprio con “Tre passi avanti e crolla il mondo beat…”, per dire che bastavano solo tre passi per fare crollare tutto quel movimento generazionale al quale io ho dedicato gli anni più belli della mia vita, quelli della spensieratezza e della libertà vissuta non per forza all’insegna della droga, ma a quella della musica vera, creativa, stimolante, culturalmente educativa che ha fatto crescere una generazione di creativi ch’hanno fatto grande l’Italia regalandole il “boom economico”.

    Senza più quegl’ideali, come cantava ripetutamente il compianto Francesco Di Giacomo, voce storica del “Banco del Mutuo Soccorso” nell’album “Garofano rosso” del 1976 “….ideali, ideali, ideali….”, oggi il mondo è andato a catafascio.

    Il nazional-popolare Adriano, anche se dopo quarant’anni, s’è ricreduto sui giovani beat e ha dichiarato apertamente, nel suo relativamente recente programma televisivo “Rock Politik”, che allora s’era sbagliato a criticare il mondo beat. Se oggi potesse nascere un nuovo movimento ch’avesse ancora quegl’ideali di pace e d’amore, sicuramente il mondo sarebbe migliore.

    Noi giovani nati più o meno in quel periodo, siamo stati molto influenzati da questa nuova aria che si respirava. Dicono che abbiamo cambiato il mondo. Io preferisco dire ch’abbiamo tentato di cambiarlo, ma ahimè non ci siamo riusciti, poiché le guerre sono ancora là più inutili e atroci di prima, i signori della guerra sono ancora al loro posto, magari cambiando volto, ma le intenzioni sono sempre le stesse: la supremazia, la prevaricazione, l’interesse, unico collante di tutte le miserie del mondo.

    L’unica nota negativa è che in quel contesto si sviluppò l’uso di droghe e allucinogeni diventato, nel tempo, la piaga di una società malata e marcia. Suonavamo anche noi la musica psichedelica che caratterizzava quell’epoca beat e, a nostro modo, cercavamo d’essere partecipi di quel movimento di liberazione che, con la canzone “Imagine” di John Lennon del 1971, acquisì tutta la sua reale motivazione: “Immaginate che non ci sia alcun paradiso…nessun inferno sotto di noi…che non ci siano patrie…tutta la gente che vive la vita in pace…si potrebbe dire che io sia un sognatore”.

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