Fede, ritualità e apertura mentale. Quando l'integrazione "sconfigge" la sopraffazione
del 2018-09-05
Da ragazzino ero solito frequentare l’azione cattolica. La mia chiesa di riferimento era quella di San Francesco di Paola. La domenica, insieme ad altri ragazzi più o meno miei coetanei, presenziavo alla Santa Messa officiata da Padre Parroco Antonino Trapani. Ci sedevamo tutti s’una panchina della chiesa posta di fronte la terza navata sul lato destro, quella dalla quale avevamo accesso ai sotterranei, luogo ludico per noi.
Chi giungeva per primo occupava la panchina inginocchiatoio anche per gli altri che pian piano sopraggiungevano. Quando non c’era alcuno assente, non potendo riuscire a starci tutti, qualcuno si sedeva nella panchina posteriore. Succedeva, però, che qualche prepotente, giunto in ritardo, pretendeva di sedersi davanti, costringendo uno di noi più remissivo ad alzarsi e a cedergli il posto.
Capitava anche che nessuno voleva farlo e lui, sempre prepotentemente, si sedeva in un piccolo angolo della panchina e cominciava a spingere fin quando non riusciva a crearsi quello spazio sufficiente ad accoglierlo.
Ciò costringeva gli altri a stare stretti stretti creando parecchio malumore. Quando, poi, nessuno voleva stringersi, assistevamo alla caduta rovinosa a terra (culucchiata) dell’ultimo della fila con una nostra non celata risata di circostanza. Al poveretto non rimaneva altro che andarsi a sedere, suo malgrado, nella panchina posta dietro.
Questo modo d’agire si chiama SOPRAFFAZIONE. Giorni fa, prima di rientrare definitivamente a Castelvetrano, sono entrato in una chiesa di Civitavecchia per un momento di raccoglimento spirituale. All’interno c’erano solo pochi fedeli, uno dei quali era sdraiato a terra con la testa sotto la panchina davanti a lui.
La prima cosa che pensai fu che s’era sentito male e mi sono avvicinato per chiedergli se avesse bisogno di qualcosa. M’accorsi, però, che la posizione assunta era sì inusuale, almeno per me, ma che corrispondeva alla posizione di preghiera del popolo islamico. Mi resi conto che quel signore, molto probabilmente di fede non cattolica, stava pregando alla sua maniera e lo stava facendo in una chiesa cristiana (questo a indicare che c’è un solo Dio, anche se lo si vuole chiamare in tanti modi).
Evitai, quindi, di disturbarlo e presi posto lì vicino. Dopo un po’ lo vidi alzarsi e pensai che sarebbe andato via. Invece no! S’avvicinò ai primi banchi e si sedette accanto ad altre persone per continuare a pregare insieme a loro. Questo diverso modo d’agire si chiama INTEGRAZIONE.
Alieni, diversi, extracomunitari e comunque li si voglia chiamare, sono soltanto delle persone che hanno bisogno d’aiuto ed è un nostro preciso dovere non negarglielo. Sono convinto che il popolo italiano non è e non sarà mai un popolo che distingue gli essere umani per razza (xenofobi).
Sono convinto, altresì, che solo con una disciplinata integrazione si possono accogliere questi nostri fratelli, venuti da una terra lontana, senza recare nocumento a qualcuno. Questo auspico per tutti gli uomini di buona volontà.