La nascita dell'etnomusicologia e il Corpus di musiche popolari di Alberto Favara
di: Solidea Guzzo - del 2017-11-10
Nella prima metà del Novecento la costante crescita economica porta la popolazione a spostarsi attorno ai centri urbani più industrializzati, innescando un progressivo abbandono delle campagne.
Di conseguenza, molte delle tradizioni legate alla civiltà agricola tendono via via a scomparire. Il timore che un simile patrimonio culturale possa andare perduto è, dunque, alla base della nascita dell’etnomusicologia, scienza che studia e raccoglie dati sulla tradizione musicale dei popoli.
Nell’Ottocento i musicisti interessati alla musica popolare si limitavano a trascrivere le melodie folkloriche adattandole alla notazione tradizionale. Nel Novecento il metodo diventa più scientifico: i musicisti si avventuravano nelle zone rurali rimaste ai margini del progresso e, con apparecchiature come il fonografo, registravano i canti eseguiti dalla gente locale.
Albero Favara è uno dei maggiori etnomusicologi che ha favorito questo processo di registrazione novecentesca della musica popolare, con lo scopo di tramandarla alle generazioni future. Favara girando per la Sicilia e ascoltando i vari canti eseguiti dalla gente comune nei paesi, ha provato a trascriverli aggiungendo lo spartito corrispondente a melodia e parole. L’insieme di tutti questi canti popolari siciliani costituisce oggi un libro intitolato proprio "Corpus Favara". Scorrendo l’indice della suddetta raccolta si nota come la maggior parte dei canti abbia un titolo particolare che, a sua volta,può derivare da una città, da una categoria di persone, da un mestiere o da una festa religiosa. Oltre a tutto ciò la Sicilia possiede anche canti destinati ad un evento o a un oggetto speciale, come le “storii”, una narrazione cantata di avvenimenti particolari che hanno colpito l’immaginazione degli uomini (i canti di lavoro, i canti di culla, i giuochi bambineschi, le filastrocche e le danze cantate).
Prove di denominazione particolari sono le musiche strumentali , per lo più musiche di danza (Jolla, contradanza e tammuriddiate).
Si può anche notare nella raccolta, come il Favara abbia avuto molta cura di segnare il luogo e la data di raccolta del canto e il nome del cantore. Non sempre queste indicazioni sono complete, ma quelle che leggiamo sono sufficienti a provarci da quale umile ambiente, nella maggior parte dei casi, egli attingesse le melodie, e com’egli preferisse gli anziani come interlocutori. Una costatazione che subito balza agli occhi di chi sfoglia le pagine di queste notazioni musicali è l’assenza di ogni indicazione riguardante la misura. Solo in pochissimi casi il Favara l’ha indicata, solo in qualche canto in coro, dove l’isocronismo è condizione indispensabile allo sforzo del lavoro o al disciplinato insieme alle voci. Egli non scrive nessuna misura ritmica e spesso capita di trovare lo stesso canto eseguito in diversi modi da gente differente, trattandosi di canti tramandati da padre in figlio, di generazione in generazione.
Il manoscritto del Favara consta di due grossi volumi di carta da musica, più un certo numero di fogli e mezzi fogli pentagrammati staccati.