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“Trispa” e “tavoli”: il mobilio per il matrimonio d’altri tempi tra aneddoti e ricordi

di: Dott. Francesco Marino - del 2019-12-31

Immagine articolo: “Trispa” e “tavoli”: il mobilio per il matrimonio d’altri tempi tra aneddoti e ricordi

Nella foto, tratta dal web, una coppia di trispiti o trespoli siciliani. Forse ancora oggi in qualche magazzino di campagna o nel ripostiglio dei nostri nonni saranno conservate quei popolari oggetti meglio conosciuti in Sicilia col nome di “trispa”.

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  • I nostri antenati li compravano nelle fiere o li ordinavano dal fabbro che li realizzava artigianalmente in ferro battuto, anche se non era impossibile riscontrare discordanze nella coppia di trispa. Erano alti pressappoco 45 centimetri, avevano una lunghezza media di 85 centimetri e si appoggiavano a terra mediante una base, larga circa 35/37 centimetri, a forma di mezza luna capovolta. La frase: “trispa e tavuli” era un modo assai diffuso in Sicilia per indicare i mobili indispensabili per un matrimonio di inizio ‘900.

    Con l’anzidetta locuzione i genitori della sposa comunicavano ai consuoceri che la propria figlia era pronta al matrimonio e possedeva il mobilio indispensabile per sposarsi. Infatti, significava che portava in dote al futuro marito, il letto la cui base era formata da due trespoli fatti da un fabbro e sei tavole modellate in modo da lasciare fra l’una e l’altra uno spazio che serviva ad arieggiare i materassi.

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  • Per le famiglie facoltose le coppie di “trispa” portate in dote erano due: un paio per il letto matrimoniale e un paio più piccoli da destinare alla futura prole. Mentre i materassi erano quattro: due di crine, freschi per l’estate, e due di lana per l’inverno. I meno facoltosi utilizzavano per riempire i materassi la paglia di grano e, quando si sdraiava nel letto, udivano un gran rumore mentre gli steli secchi pungevano spesso il proprio corpo.

    Il letto con le trispa, le tavole e i materassi imbottiti di paglia risultava abbastanza alto tanto che le donne più basse dovevano salire su uno sgabello per coricarsi. Certo, ordinare il letto ogni mattina, per le nostre nonne distratte significava anche rischiare le proprie gambe.

    Non era infrequente inciampare con le ginocchia alle estremità dei “trispa”, e chissà quanti nostre antenate si saranno procurati lividi sugli arti inferiori, di quelli che tolgono il fiato e fanno vedere le stelle.... “senza essere innamorati!” ah!ah!ah Ma “li trispa” servivano anche ad altro. Le donne sistemavano su quegli utensili la “pila”, cioè un il lavatoio in legno oggi, per fortuna delle signore contemporanei, sostituito da moderne lavatrici elettriche.

    Di solito si sistemavano “trispa e pila” in cortile, magari vicino a condotte idriche che facilitavano il deflusso delle acque al termine del bucato quando occorreva disfarsi dell’acqua sporca.  I “trispa” si utilizzavano anche per appoggiare i “cannizza”, cioè una varietà di vassoio costruito con strisce di canna intrecciata, generalmente largo un metro e lungo due.

    Sui “cannizza”, sistemati a diretto contatto coi raggi del sole, si collocavano i fichi o i pomodori. Il processo di essicazioni trasformava i fichi in composti da impiegare nella creazione di dolci natalizi mentre i pomodori in ingredienti da utilizzare in gustose pietanze soprattutto invernali. Ulteriore utilizzo dei “trispa” era quello di sistemarvi sopra “lu Tavuleri”, ossia una tavola liscia, generalmente quadrata con dimensioni di un metro per lato.

    Costruito da esperti falegnami, era utilizzato dalle donne per “scanare” il pane, ovvero lavorare la farina la quale, dopo un magistrale processo, veniva trasformata in ottimo pane casereccio. Ricordare le tradizioni può aiutare a comprendere, in modo migliore, le nostre trasformazioni sociali e comunque a concepire meglio i processi antropologici che ci hanno riguardato.

    Può essere, altresì, condivisibile valutare la conoscenza del nostro passato come un eccellente strumento che contribuisca a veicolare l’odierna nostra società verso sicuri futuri orizzonti.

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