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“Lu Bilìci”. Tra natura, ricordi e luoghi di straordinaria bellezza

di: Pietro Errante - del 2019-05-12

Immagine articolo: “Lu Bilìci”. Tra natura, ricordi e luoghi di straordinaria bellezza

Quella che ora è denominata Riserva naturale orientata della foce del Belice e dune limitrofe era un tempo semplicemente “lu bilìci”. Le estati selinuntine degli anni 60 erano contrassegnate da una genuinità umana e strutturale che oggi si è andata perdendo. Ricordo che per raggiungere la foce del fiume Belice, si doveva percorrere tutta la costa del Cantone, guadando il promontorio e percorrendo poi quasi un chilometro di spiaggia africana con in prospettiva la torre di Porto Palo.

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  • Un’ora circa ad andare, altrettanto per il ritorno.Si dovevano guadare alcuni tratti di mare, tra rocce affioranti, altre sommerse, molte massicce sulla spiaggia a ridosso della collina digradante verso il mare. La differenza stava negli orari di percorrenza.

    Si andava con la frescura del primo mattino, quando il sole non era ancora sorto; si tornava con la canicola spesso insopportabile del mezzogiorno. Il passaggio nelle cristalline acque della costa adiacente al Cantone era uno dei momenti più belli della vacanza estiva a Selinunte. Rocce affioranti, anfratti marini, piccole conche ricche di patelle e ricci si alternavano a fondali sabbiosi e vellutati sormontati da un mare pulitissimo, splendido nei suoi colori cangianti dall’azzurro turchino al verde smeraldo.

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  • La vista correva lontana fino all’orizzonte dove mare e cielo si toccavano formando quasi un unicum dagli effetti indimenticabili. Arrivare alla foce del fiume Belice (le cui acque erano allora limpide e pulite) era una festa: immediata immersione in acque fluviali tiepide e poi di corsa un tuffo nel freddo mare d’Africa con conseguente nuotata e ritorno frettoloso e confortevole nelle acque del fiume.

    Il contatto con una natura selvaggia e generosa era completo, ma indimenticabile resta nella memoria di chi ha vissuto quegli anni, il passaggio in lontananza del trenino a vapore che sbuffando e annaspando sul mitico ponte di ferro faceva sentire la sua caratteristica voce fatta di fischi striduli e stanchi soffioni ritmati. Di ritorno scorreva su quel ponte la snella littorina anch’essa fischiettante.

    Al sole cocente era impossibile trovare un qualche riparo: nessuna vegetazione, nessun costone roccioso, nessun rilievo di alcun tipo: solo chi si portava dietro un ombrellone aveva la possibilità di piantarlo sulla rena dorata, vento permettendo. Spesso si andava in comitiva per passare l’intera giornata: in quel caso erano indispensabili i rifornimenti di acqua potabile e panini per alimentarsi dopo i bagni di mare e di fiume.

    Allora si aspettavano le prime ombre del tardo pomeriggio per rientrare a Selinunte senza rischiare la sfacchinata tremenda delle ore mezzane. Mare pescosissimo, dove tuffarsi e nuotare era semplicemente un sogno! La cena a casa e poi la classica “passiata” serale dallo Scaro a Calannino e viceversa diecine di volte concludevano giornate di sole, di mare, indimenticabili momenti di una gioventù sempre più lontana.

    Tanti gli amici e le comitive che avevano la fortuna di vivere senza telefonini, senza auto, senza smog, senza frastuoni, immersi solo nella natura fatta di mare e di sole. Il caratteristico suono del motore a scoppio delle barche che uscivano per la pesca faceva da preludio all’analogo dolce risveglio del mattino sullo specchio di mare che ristora Selinunte

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