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Quando c'era la banca in piazza Principe di Piemonte. Erano gli anni del boom economico

di: Pietro Errante - del 2016-01-19

Immagine articolo: Quando c'era la banca in piazza Principe di Piemonte. Erano gli anni del boom economico

Una bella signora cinquantenne era solita andare ogni anno ai primi di gennaio nella sua  Banca di fiducia, dove teneva i risparmi di una vita, frutto del lavoro del capofamiglia.  L’appuntamento col direttore era sempre nella prima decade di gennaio.

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  • La signora si preparava col vestito della domenica, quasi dovesse andare a messa, si sistemava gli ultimi dettagli del suo  aspetto, prendeva per mano il giovanotto di sette anni e si presentava in Banca, ubicata nel  centro storico della città.  

    Pochi minuti di attesa e dalla porta che si trovava dietro le casse usciva un uomo, alto,  elegante, ben vestito, profumato con un sorriso stampato sulla bocca quasi a 360 gradi.

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  • “Signora  benvenuta, la prego di accomodarsi nel mio ufficio” era la consueta espressione del Direttore che  stringeva la mano della signora con grande cordialità.

    “La stavamo aspettando”.  La signora sorrise, rispose con apparente cordialità mista ad una consolidata diffidenza: “Le  banche fanno sempre i propri interessi” diceva al figlio che capiva poco di contabilità bancaria  dato che ancora andava alle prime classi elementari.  

    “Sono davvero lieto – esordì il Direttore una volta accomodati nel suo ufficio­ di comunicarle  che quest’anno sui depositi abbiamo potuto spuntare un bel 15%.

    Il conteggio era presto fatto: su  cinque milioni di lire depositati, gli interessi erano 750 mila lire. Una gran bella somma per quei  tempi! La signora, tuttavia, non apparve molto soddisfatta: ”Non mi sta bene, Direttore.

    Lei sa che  la Banca concorrente è arrivata a riconoscere perfino il 18% sui depositi vincolati”. “Signora- ribatté il Direttore­ quelle sono banche che da un momento all’altro chiudono i battenti. Noi siamo  qui e qui resteremo per sempre. Da noi c’è il guadagno ma anche la certezza che i capitali non  corrono rischi”.  

    Cominciava, come ogni anno, un tira e molla che durava circa trenta minuti, quasi fosse  una trattativa. Mi prendo i soldi e me ne vado nell’altra banca che mi da di più. Signora non faccia  questa fesseria potrebbe pentirsene. Il 15% è troppo poco. Ma è il massimo che possiamo  garantire.

    E via discorrendo.  Alla fine della lunga trattativa, il Direttore calava l’asso: “Per venirle incontro e per  dimostrarle l’attaccamento che abbiamo verso una preziosa cliente come lei, a titolo del tutto  personale aumentiamo gli interessi di altre 100 mila lire. Di più non posso fare”.  La signora, visibilmente soddisfatta ma apparentemente riottosa, dava il libretto al  Direttore che lo passava allo sportello per la capitalizzazione degli interessi. Un altro saluto  cordiale, ma stavolta a 180 gradi, e l’appuntamento veniva fissato ai primi del gennaio dell’anno  successivo. “Ci vediamo tra un anno. Buongiorno”.

     La signora prendeva la mano del piccolo giovanotto e se ne tornava a casa, soddisfatta  per aver spuntato un bel successo e per aver incrementato le riserve finanziarie della famiglia.  Negli anni successivi quel 15% cominciò a ridursi prima al 12, poi all’8, poi al 5 ,4,3,2,1, ora siamo  arrivati allo 0,80 sulle somme vincolate, allo 0,50­0,25 ma anche meno su somme libere (nella  speranza di mantenere il capitale!).  Per chi non l’avesse capito quella bella signora era mia madre e il giovanotto di sette anni  ero io.

    La Banca in questione era ubicata in piazza Principe di Piemonte. Eravamo agli inizi degli  anni sessanta, l’Italia godeva i frutti del miracolo economico post bellico (la Sicilia un po’ meno). C’era la Democrazia Cristiana!

    Foto: www.flickr.com

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