I regali “di lu zzitu a la zzita” la domeniche delle Palme. Ricordi di una tradizione ormai scomparsa
di: Vito Marino - del 2019-04-16
Durante il Medioevo, la popolazione era molto rozza e analfabeta; inoltre i contadini erano considerati “servi della gleba” e seguivano le sorti della terra, nella quale vivevano e alla quale erano legati, in casi di passaggio di proprietà. Nel mondo medievale la donna era considerata un essere inferiore, cosa che era confermata e ribadita dalla Chiesa di allora.
Con l’arrivo dei Normanni la società venne ingentilita da una serie di usi e costumi provenienti dalla loro cultura; fra questi c’era una forma di cavalleria, con la completa sottomissione dell’uomo verso la donna, proprio come un vassallo verso il suo padrone. Nella Scuola Siciliana creata da Federico II di Svevia, la donna era considerata come un angelo e come un essere debole da proteggere. Sciolta la Scuola Siciliana, queste concezioni assieme ai poeti e letterati passarono a Firenze, dando luogo alla corrente letteraria del “Dolce stil nuovo”.
Dante Alighieri nella sua poesia: “tanto gentil e tanto onesta pare” sulla donna scrisse: “[…]cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare”. Questa forma cavalleresca, è continuata nel tempo attraverso i secoli fino agli anni ’50 – 60 del secolo scorso. Essa si esternava verso la donna, ma anche verso le persone deboli e anziane. Così, l’uomo cedeva il passo alla donna e, se seduto, le cedeva il posto; una bella tradizione della quale oggi ne rimangono solo le tracce.
Nel caso in esame, il fidanzato per tradizione doveva fare dei regali alla fidanzata in determinate circostanze o ricorrenze, senza aspettare nessun ritorno. Così, in occasione della ricorrenza delle domeniche delle Palme “lu zzitu” (il fidanzato) doveva regalare alla fidanzata una palma (palma intrecciata dai palmari con foglie di palma) dalle dimensioni superiori a quella normale.
Infatti, la grandezza della palma era proporzionata all’amore che lu zzitu nutriva per la zzita. Il giorno di Pasqua il fidanzato doveva regalare alla fidanzata un grosso uovo di cioccolato, dentro il quale faceva introdurre dal dolciere un oggetto d’oro di valore, che aveva comprato in precedenza. Inoltre regalava una “vaccaredda” (una ciambella di pastafrolla dolcificata con una mucca accovacciata della stessa pasta), anche questo regalo doveva essere di dimensioni più grandi del normale.
In occasione della ricorrenza del 2 novembre il fidanzato doveva regalare il classico “pupu di zzuccaru”, (statuetta di zucchero, vuota all’interno) rappresentante la figura di “lu zzitu e la zzita”, più una borsetta, un ombrello e un paio di guanti. In occasione della fiera della Tagliata doveva regalare una collana.
A Campobello, per tradizione, il fidanzato si impegnava per iscritto sulla “minuta” del contratto matrimoniale di portare la futura sposa, nel corso del primo anno di matrimonio, a visitare l’Aurora e la fiera della Tagliata. Per una donna che la civiltà contadina costringeva a restare in casa, visitare Castelvetrano una città più evoluta, era già una conquista.