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"Carabiddicchia” e "li tririci pila”. Quando a Castelvetrano c'erano numerosi abbeveratoi

di: Vito Marino - del 2018-05-21

Immagine articolo: "Carabiddicchia” e "li tririci pila”. Quando a Castelvetrano c'erano numerosi abbeveratoi

L’uomo, in un passato non troppo lontano, per eseguire i lavori più pesanti si serviva dell’aiuto delle bestie da soma “li vestii” (cavallo, asino, mulo, bardot). Prima di spuntare l’alba i contadini già “avaravanu” (partivano per andare in campagna) e già si sentivano i rumori sul selciato dei carri e degli zoccoli degli animali.  Inoltre c’era la pastorizia, allora molto sviluppata, poiché il latifondo lasciava più terreni incolti a pascolo, mentre i terreni seminativi erano lasciati incolti un anno ogni due, per la rotazione agraria, cioè per farli riposare e reintegrare di azoto .

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  • Tutti questi animali avevano bisogno, specialmente nel periodo estivo, d’acqua da bere. I Comuni, a tale scopo, avevano costruito diversi abbeveratoi o beverini “abbiviraturi”, Si trattava di vasche rettangolari in muratura, idonee a raccogliere l’acqua potabile che usciva dal “cannolu” (un tubo metallico) ; a volte, per economizzare l’acqua, al tubo c’era avvitato “l’aciddittu” (il rubinetto). Gli abbeveratoi tradizionali erano generalmente formati da tronchi di albero scavati, ma quelli più duraturi erano quelli in muratura, a volte realizzati in grandi dimensioni ed ornati di elementi architettonici, come epigrafi, stemmi e sculture.  Queste costruzioni erano particolarmente diffuse nelle zone rurali dell'Italia meridionale, localizzate principalmente agli ingressi del paese, per permettere agli animali da soma di dissetarsi al loro rientro dalle campagne. Gli abbeveratoi per gli ovini e caprini si trovavano nelle campagne ed erano più bassi. 

    A Castelvetrano tutte queste costruzioni, oggi sono tutte scomparse, diroccate, travolte dalla ventata euforica di modernità, che ha coinvolto anche molti edifici antichi di notevole interesse architettonico e storico. Ricordo una nota caratteristica di quegli anni, che voglio riportare: per invitare il proprio animale a bere, il padrone gli fischiava in modo particolare. Un proverbio di quei tempi, infatti, diceva: “Si lu sceccu nun voli viviri, è ‘nutili chi ci frischii”.

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  •  Ricordo, che il cavallo di un nostro vicino di casa, non voleva bere l’acqua piovana contenuta nella sua cisterna; acqua, che invece consumava regolarmente tutta la famiglia. Quando l’acqua degli abbeveratoi si presentava sporca, il cavallo, anche se aveva sete, la rifiutava; allora, il padrone prendeva un recipiente, lo riempiva dell’acqua diretta del “cannolu” e lo faceva bere. 

    Per “cannolicchiu” s’intendeva la fontanella senza abbeveratoio, che serviva per rifornire d’acqua potabile le numerose famiglie povere, che non possedevano pozzo o cisterna o l’allaccio con la rete idrica comunale. Succedeva che in certe ore di punta della giornata, attorno alla fontanella si creava una ressa di donne che dovevano riempire brocche e recipienti vari; la lunga attesa, il chiacchierio e la prepotenza di qualcuna di loro, provocava spesso discussioni animate, ma anche bisticci con tirata di capelli e brocche rotte.   

    A Castelvetrano, fino agli anni ’50 circa, esistevano ancora diversi abbeveratoi; se la memoria non m’inganna essi si trovavano esattamente: 

    - in Piazza Dante a toccare la Chiesa dell'Immacolata;  - in Viale Roma;  - in Via XX Settembre (allora fuori della cerchia urbana); 

    - in Via Marinella all'incrocio dopo l'ospedale;  - in Via Partanna, quasi a toccare il ponte della ferrovia; 

    - in Via Calatafimi "la strata di lu fossu". 

    - in Via Mazzini Sicuramente qualcuna sfugge alla mia memoria. L’abbeveratoio che si vede nella foto, erra posto vicino al vecchio Calvario barocco.

    Nel 1954, le due costruzioni monumentali vennero diroccati per interessi privati, per fare posto all’attuale stazione di servizio AGIP, il Calvario fu ricostruito nel 2002, all’interno del Parco delle Rimembranze, rispettando le primitive fattezze e l’orientamento verso il centro abitato. Forse sarà stata una semplice coincidenza, ma al loro posto sono sorti dei rifornimenti di benzina, quasi a simboleggiare una continuità fra le esigenze degli animali del passato e quelle delle automobili d’oggi; due simboli completamente diversi di civiltà, succedutesi in un breve spazio di tempo. Abbeveratoi si trovavano anche nelle campagne; ne voglio citare due: quello di “carabiddicchia” e quello “di li tririci pila”.

    Essi erano avvolti dal mistero, frutto che la fantasia popolare di una volta produceva abbondantemente. Quello di Carabbiddicchia, restaurato nel 1937, si trova ancora in contrada "Quartasu" seguendo la SS. 119; è lungo e basso (evidentemente serviva per far bere le pecore). In merito si narra che una volta un contadino trovò nel suo podere una bambina che piangeva; per consolarla le chiese ripetutamente: "Cara, biddicchia” (bellina), perché piangi? La bambina spiegò piangendo che si era smarrita ed aveva una gran sete per il caldo che c'era. Il contadino, allora, la fece dissetare in una piccola sorgiva d'acqua fresca, che sgorgava spontanea dalla roccia. Poiché tanta gente, accorsa al pianto della bambina (allora molte famiglie di contadini abitavano nelle campagne), aveva ascoltato le parole del contadino, “Carabbiddicchia” divenne il nome della sorgiva, dell'abbeveratoio, che in seguito fu lì costruito, ed a tutto il territorio circostante. 

    Nella zona nord di Castelvetrano, nell’ex feudo Torretta, che prendeva nome dal titolo del Principe della Torretta, fino a poco tempo fa sorgeva un bel casamento con torre e le famose “abbiviratura di li setti pila”, “l’abbiviratura di l’unnici pila” e "l'abbiviratura di li tririci pila" sulla quale era sorta la legenda che segue:  Si trattava di tredici lavatoi in pietra (simili a quelli che si trovavano vicino al pozzo in tutti i cortili) tutti uguali e ben allineati, qui usati una volta come abbeveratoi; oggi sono scomparsi, evidentemente davano qualche disturbo al proprietario del terreno o può anche darsi che qualcuno li abbia commercializzati come oggetti antichi.

    Stando alla leggenda, essi avevano qualche cosa di misterioso. Se qualcuno, infatti, voleva contarli per diverse volte, non risultavano mai dello stesso numero.

    Sempre stando alla leggenda, a chi riusciva a contarli per tre volte consecutive, con il risultato sempre uguale al numero esatto, si sarebbe rivelato un tesoro nascosto sotto uno dei lavatoi (evidentemente a quei tempi la matematica non era il loro forte).   Intorno alla metà del XIX secolo a Castelvetrano esistevano 10 fontane pubbliche, per fornire acqua potabile, proveniente da Bigini, ai poveri. Gli altri avevano i pozzi o le cisterne.

    Agli inizi del 1900 il paese si è attrezzato di condotta comunale che forniva acqua potabile a chi ne faceva richiesta per riempire le cisterne. Di volta in volta andava  “l’acqualoru” (l’operaio del comune) per l’allaccio

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