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La "novena" e la "ninnaredda". Ricordando i canti natalizi di un tempo

di: Vito Marino - del 2018-12-22

Immagine articolo: La "novena" e la "ninnaredda". Ricordando i canti natalizi di un tempo

(ph. www.tropeaedintorni.it/)

Nel lontano passato, era frequente trovare, accanto alle celebrazioni liturgiche, altre manifestazioni celebrative devozionali come “triunfi, novene, e ninnaredde”. Queste manifestazioni, che erano fortemente avvertite dal popolo, venivano diffuse dai “ninnariddara” e dai cantastorie ciechi, che si sono adattati al canto per motivi di sopravvivenza.

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  • La Chiesa, al fine di diffondere presso il popolo le storie dei santi e della Bibbia, nel 1661 a Palermo, presso la “Casa Professa” aveva costituito la “Congregazione dei cantastorie orvi”, per iniziativa e sotto la guida dei padri gesuiti. Il “triunfu”, era una festa di ringraziamento indetta in onore di un santo da parte di chi aveva ricevuto una grazia. I canti della Ninnaredda venivano cantati in occasione della novena di Natale.

    Dai miei lontani ricordi e fino agli anni ’50, la ricorrenza natalizia univa la religiosità alla tradizione popolare, fatta di presepe, “cosi duci” e canti natalizi. Durante tutta la ricorrenza Natalizia in chiesa si effettuavano preghiere particolari accompagnate da canti: Dal 29 novembre al 7 dicembre si svolgeva la novena dell'Immacolata (la nuvena di la Madonna), seguita dalla novena di Natale (nuvena di Natali) che andava dal 16 al 24 dicembre. Il ciclo si chiudeva con l'ottava dell'Epifania (detta semplicemente ottava) che si celebrava dal 29 dicembre al 5 gennaio.

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  • Il triduo (triinu) consiste in una prestazione musicale limitata ai tre giorni conclusivi dell'ottava (3-5 gennaio), e veniva richiesto dalle famiglie meno abbienti o da quanti, se pure in ritardo, non volevano rinunciare al 'suono' della zampogna. Novene, ottave e tridui si celebravano di mattina molto presto e di sera (dall'imbrunire). I Nove giorni della “Nuvena di Natali” simboleggiavano i nove mesi di gestazione della Vergine Maria; Nove erano le candele poste sul davanzale dell'altarino da accendere una per ogni giorno di recita.

    A Castelvetrano la “Novena di Natale" si celebrava in chiesa, dopo la prima messa delle 4,30, che il popolo chiamava “la missa di lu addu”, con preghiere e canti. I canti, regolarmente in lingua siciliana si cantavano intonati da un coro all'unisono, con l'accompagnamento di violino, mandolino o chitarra e “ncincirincì” (cerchietto o tamburino con sonaglini).

    Allora, la prima messa era celebrata di consuetudine così presto, per permettere ai contadini di assistervi prima di andare al lavoro. Dobbiamo ricordarci che eravamo ancora in piena civiltà contadina, quando l’80% della popolazione viveva d’agricoltura e l’asinello ed il mulo erano i mezzi di locomozione molto lenti di allora; i contadini, pertanto, dovevano partirsi dal paese molto presto per raggiungere il posto di lavoro.

    Dopo gli anni ’50, per come è successo a moltissime nostre tradizioni, questi canti sono scomparsi, dissolti nel nulla, inghiottiti dalla globalizzazione. Nel nostro territorio esisteva un ricco repertorio di canti religiosi siciliani aventi come soggetto la nascita di Gesù, la Sacra Famiglia e le varie ninne nanne. Questi canti venivano chiamati “NINNAREDDA", un vocabolo ormai scomparso dall’uso comune, che deriva da NINNA NANNA, nenia che ogni mamma cantava giornalmente alla propria creatura, per farla addormentare.

    Nella festività natalizia, la ninna nanna si riferiva al neonato Gesù che, come ogni bambino di questo mondo, non voleva prendere sonno. Il brano più cantato era “lu viaggiu di San Giuseppi”, detto anche “lu viaggiu dulurusu” (il viaggio a Betlemme); altri canti erano: "La notti di Natali (la nascita); Ninu Ninu lu picuraru (l'adorazione del Bambino); La Marunnuzza ‘n cammara siria, la ciaramedda, la notti di Natali, sutta un peri,dormi nun chianciri, Maria lavava, ora veni lu picuraru, dormi oh figghiu dormi, i tri Re (l'arrivo dei Magi); San Giusippuzzu di fora vinia, ralligrativi pastura, ha binutu lu lignamaru, chissu chi chianci mi pari Gesuzzu e due versioni della Salve Regina (Sarvi Riggina di la Mmaculata, Sarvi Riggina di Natali)".

    Si tratta di melodie che facevano parte della fede e delle tradizioni di un mondo contadino arcaico ormai scomparso, povero, ma ricco di semplicità e amore familiare. Inoltre, c’erano i “ninnariddara e i ciaramiddara”, cioè dei suonatori di violino e di “ciarameddi” (cornamuse); costoro “a li sett’arbi” (di mattino ancora al buio), giravano per le strade suonando detti brani musicali.

    Nelle strade silenziose di allora, le note echeggiavano e si diffondevano nell'aria creando un'atmosfera di festa. Chi era interessato li invitava a suonare in casa davanti al presepe od all'altarino; poteva trattarsi di una suonata occasionale o per tutta la novena. Al suonatore si dava un compenso, a volte in natura, come: "Li cosi duci” e un bicchiere di vino. “Ninnariddara” erano generalmente poveri e spesso non vedenti, che, per sbarcare il lunario, suonavano nei circoli, dai barbieri e, in occasione del Natale intonavano nenie. Mentre, per i Ciaramiddara, la musica era diversa.

    Sin dal giorno dell'Immacolata, con lo strumento stretto su un fianco, scendevano dalle montagne avvolti nelle loro robuste pelli. La suonata dei Ciaramiddari comprendeva 4 pezzi (detti caddozzi) dalla durata di pochi minuti ciascuno. Per i più giovani questi canti rappresentano una novità, una tradizione a loro sconosciuta; si tratta in realtà di un patrimonio culturale, che i nostri nonni ci hanno lasciato, ricco di sentimenti di pace, d’umiltà e d’amore familiare. Valori ormai scomparsi nella moderna civiltà ove si assiste quotidianamente a violenze, odio, vendette e disgregamento della famiglia.

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