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La storia del Barone Di Stefano tra leggende, misteri e quegli anni al Grande Hotel delle Palme

di: Vito Marino - del 2021-03-25

Immagine articolo: La storia del Barone Di Stefano tra leggende, misteri e quegli anni al Grande Hotel delle Palme

Nella carrellata dei personaggi castelvetranesi non poteva mancare quello del barone Di Stefano, un personaggio molto conosciuto per le sue ricchezze ma, principalmente, per l’aura di mistero e di leggenda di cui  fu avvolto per tutta la sua vita. Il popolo siciliano è ricco di fantasia e per i personaggi più famosi  fa nascere una leggenda. 

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  • Così avvenne per il barone Di Stefano di Castelvetrano, che  entrò, ancora in vita, nella fantasia dei suoi concittadini. Intorno agli anni ’50, io ero ancora ragazzo, d’estate, mi capitava spesso d’incontrare Giuseppe Di Stefano “il barone Sciacca” per come lo chiamavano tutti. Ricordo che era una persona alta, elegante, con i capelli lisci e lucidi di brillantina, con un vestito doppio petto di lino bianco; egli con procedere lento ma maestoso si recava verso il municipio oppure se ne stava seduto davanti al portone del suo palazzo baronale settecentesco a prendere il fresco, nei caldi pomeriggi estivi. Per la rimanenza dell’anno non lo vedevo. 

    Durante la vendemmia, egli se ne stava seduto all’ombra a controllare di presenza le operazioni di scarico dell’uva, che avveniva con i carretti in un primo tempo e con il camion in un secondo tempo; per impedire che nemmeno un chicco d’uva fosse dato ai ragazzi che, come mosche erano richiamati dai grappoli biondo oro che si mangiavano con gli occhi. Quando terminava lo scarico, un operaio era incaricato a raccogliere i chicchi caduti per terra. Non bisogna meravigliarsi se i ragazzi desideravano ardentemente un grappolo di quell’uva sporca e schiacciata dal peso e dalle scarpe dei contadini che vi camminavano sopra, ma eravamo un poco prima degli anni ’50 e i morsi della fame, lasciataci dalla guerra, non si erano ancora calmati. 

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  • Amministratore delle sue proprietà era il fratello maggiore: Giovanni. Di “Vannino”, per come lo sentivo chiamare, si diceva che era molto onesto e meticoloso nell’amministrare; ogni domenica, verso mezzogiorno, pagava i contadini che, numerosi, se ne  stavano davanti al grande portone ad aspettare. Egli abitava al primo piano del palazzo baronale, mentre il barone, che non aveva famiglia, abitava al piano terra, una volta adibiti a magazzini e ristrutturati ad abitazione. Ricordo che in un magazzino teneva la carrozza e, successivamente, la machina.

    Negli anni ’50 le macchine a Castelvetrano erano ancora pochissime, solo i benestanti come lui se la potevano comprare. 

    Della sua vita privata non ricordo altro, perché ero ragazzo e a quell’età si vive in un mondo di sogni e fantasie e non si guarda con malizia gli avvenimenti mondani. Ricordo però, con certezza, che tutti parlavano del suo omicidio avvenuto nel 1946. Secondo la versione che ho sentito raccontare da tante persone, un ragazzo era andato a rubargli della frutta, un contadino lo acciuffò e lo portò dal barone. Lui, in un momento evidentemente di rabbia, gli diede una pedata per punirlo, ma lo colpì allo stomaco e il bambino morì. Fu arrestato e condannato per omicidio e restò agli arresti domiciliari nella sua tenuta di campagna, dove ha scontato la pena fra banchetti, e amici. 

    Da quel momento entrò nella leggenda. I cantastorie dell’epoca non hanno perso l’occasione per scrivere la storiella e cantarla in piazza: “Lu baruneddu Sciacca un picciutteddu attacca”, ricordo solo la prima strofa. Intorno agli anni 60, la stampa riportava che la giunta comunale di Castelvetrano si era recata a trovarlo a Palermo al Grande Hotel delle Palme dove abitava nel suo appartamento alla suite 204 al piano nobile, per concordare la vendita del terreno sito in Via Campobello, dove poi si costruì un intero quartiere. Queste sono mie testimonianze, frutto dei miei ricordi di ragazzo. 

    Cito ora altri dati certi di cui son venuto di recente a conoscenza: Giuseppe Di Stefano, figlio di Giuseppe e di Giovanna di Leo, nacque a Castelvetrano il 13 aprile 1906 in Via Ruggero Settimo 6. Il fratello Giovanni  è morto nel 1983. Un altro fratello il ragioniere Mario, sposato con una Ciancimino, (famiglia benestante) aveva un’attività commerciale per conto suo. Il barone è morto nei primi del 1998 a 92 anni al Grande Hotel delle Palme di Palermo. 

    Tutto l’altro materiale, che ho trovato nel corso delle mie ricerche è avvolto dalla leggenda; anche i giornalisti hanno ritratto questo personaggio con un’aureola di mistero per rendere i loro articoli più interessanti al lettore. Così, una persona anziana, da poco deceduta, mi ha raccontato che il Di Stefano aveva sposato una sua zia, per acquisire tutte le sue ricchezze ed il titolo di barone. Invece qualcuno asserisce di avere ereditato tutto da una zia per lascito testamentario. 

    Il giornale “Famiglia Cristiana” n 19 del 1995, parlando di lui, mette l’omicidio già citato, al centro della sua vita; parla della sua condanna al carcere a vita o volontario esilio, di mafia e denaro, il tutto condito con mistero di fiaba. Inoltre, riporta un’intervista fatta a Giuseppe Bongiorno, allora avvocato del barone che, parlando delle ricchezze del Di Stefano, afferma che gli sono pervenute  per lascito, da una zia. Questa sembra la versione più veritiera.   

    Una signora anziana ancora vivente mi raccontò la seguente storiella: Il barone Sciacca, quello originario che portava il titolo, era ricchissimo ma infelice, perché nel suo enorme palazzo era solo e senza parentela, ma con tante persone che gli ronzavano attorno perché speravano nell’eredità. Per questo motivo circolava a Castelvetrano il proverbio: “Comu finiu lu baruni Sciacca, chi tutti li puddicini ci pizzulianu l’anca”. Il barone invece si affezionò a Concettina, una ragazza timida, umile, affettuosa, tanto che la lasciò erede di tutte le sue ricchezze. 

    Morto il barone, la ragazza rimase sola. Il cugino Di Stefano, che allora era “camperi” del barone, ed era sempre presente nel palazzo baronale, con la sua prestanza fisica affascinò Concettina e le propose di sposarla. Dopo il fidanzamento Concettina stava male, si trattava forse di appendicite, dovendosi sottoporre ad un intervento chirurgico, il Di Stefano la convinse a fare testamento in suo favore prima dell’intervento. Concettina durante l’intervento morì misteriosamente e Di Stefano prese il titolo di barone e diventò il padrone delle ricchezze. 

    La stessa persona mi ha raccontato anche che il barone è stato il padrino di battesimo dell’attuale erede delle ricchezze. Ho fatto delle ricerche su internet ed ho trovato molto materiale che riporto in sintesi qui di seguito: intere pagine a lui dedicate sempre con il suo omicidio al centro dell’attenzione e con un contorno giornalistico di fantasie sul “recluso”, per come era chiamato. In effetti su una persona che usciva solo occasionalmente ed eccezionalmente dalla sua suite all’Hotel delle Palme, c’era poco da dire di concreto, il resto era pura fantasia giornalistica o popolare. 

    Sicuramente il suo fu un omicidio accidentale senza nessuna conseguenza di vendette da parte dei parenti dell’ucciso, tanto è vero che lo vedevo solo e senza protezione già negli anni ’50, dopo alcuni anni dell’omicidio. Piuttosto sarà andato ad abitare a Palermo per essere più vicino a personaggi di spicco e potere amministrare anche i suoi interessi economici che andavano oltre le sue proprietà terriere. In ogni caso a Palermo era diventato famoso, al punto che Vittorio Gassman lo ha interpretato nel film “dimenticare Palermo”; inoltre parla di lui Giorgio Bocca nei suoi libri. 

    Riporto parte dell’intervista di Luigi Farina fatta a Gaetano Basile, storico e giornalista palermitano, nato a Palermo il 16 novembre 1937, che parla del Grande Hotel delle Palme e del suo ospite d’onore: -“Il barone Di Stefano vi abitò per 50 anni, e su di lui ho fatto una mia indagine che è servita per uno sceneggiato che hanno fatto alla televisione giapponese, che è stato girato proprio all'Hotel des Palmes.

    Una cosa interessante, intanto, che il barone Giuseppe Di Stefano non era nemmeno barone, era soltanto un mafioso di Castelvetrano, che, per motivi suoi, ho trovato cinque o sei versioni diverse, si chiuse volontariamente alle Palme, il fatto sicuro è che era ricco sfondato, per cui si poteva permettere di abitare, senza farsi mancare nulla, all'Hotel des Palmes, fumò per tutta la sua vita dei sigari cubani che si chiamavano "Julieta e Romeo", che facevano apposta per lui a Cuba, e che gli spedivano ogni mese. 

    Aveva un'odio per tutto quello era la comunicazione di massa, non lesse mai un giornale, e quando arrivò la televisione disse: "No grazie non mi interessa!". Ogni mattina riceveva la visita dello chef, a cui lui chiedeva notizie sul mondo, quindi li aveva riportate di seconda mano. Ogni mattina inoltre decideva cosa doveva mangiare sia a pranzo che a cena, naturalmente lui dava, centellinandole, alcune ricette di casa sua. Spesso gli arrivava il pesce fresco in omaggio da Mazara, l'olio di Castelvetrano in omaggio, amava l'aglio, lo metteva dappertutto, era una cosa infame visto che pare puzzasse d'aglio in maniera incredibile. 

    Per circa 10, 12 anni ricevette la visita di una signora con cui andava a letto, era una sua vecchia amante, poi questa signora non si vide più. Raramente usciva dall'albergo, se non qualche volta di notte, faceva il giro del palazzo e poi rientrava, qualche volta arrivò da Dell'Oglio in via Ruggero Settimo, per scegliersi qualche capo di abbigliamento. Spesso invitava al suo tavolo VIP di passaggio, come Guttuso, il tenore Di Stefano, che lui chiamava cucinu, anche se non erano cugini, erano solo omonimi. 

    Al suo tavolo invitò Carla Fracci”. Voce di popolo disse che dopo la sua morte i mobili furono venduti a commercianti dell’usato. A Trapani al mercatino si vendevano mobili e suppellettili appartenuti al barone “Sciacca”, così almeno si diceva, e i creduloni compravano come cimeli di valore.

    Un’altra testimonianza sul sito Dust: Palermo: – Sulle orme del “Gattopardo” di Roberto Alaimo Diario: anno III - numero 15 – 15/21 aprile 1998: - “È morto il barone Di Stefano. A Palermo era una leggenda metropolitana vivente. Si raccontava che subito dopo la guerra avesse ucciso per un diverbio un ragazzo affiliato alle cosche di Castelvetrano e che per questo la mafia lo avesse condannato a morte, con pena commutata poi all’ergastolo. 

    Se carcere a vita dovesse essere, tanto valeva che fosse nel migliore (o più caro) albergo di Palermo: il Grand Hotel et des Palmes. Qui il barone Giuseppe Di Stefano si rinchiuse negli anni Quaranta per non uscirne mai più. Una versione, questa, smentita come fantasiosa o peggio, da un avvocato, che di lui si è occupato negli ultimi anni con visite quotidiane e che nel necrologio si è qualificato come figlio. 

    Ma la sua leggenda il barone non volle mai smentirla, alimentando in questo modo il mistero”.- Altra testimonianza tratta da: “Palermo è ….. di Gaetano Basile, edito da Dario Flaccovio Editore di Palermo. - “L'ultimo "pezzo" delle Palme se n'è andato recentemente: Il "204", al secolo il barone Guseppe Di Stefano di Castelvetrano che vi abitava da ben quarant'anni. E' morto a 92 anni. Si sussurrò che fosse stata la mafia a costringerlo a quel volontario esilio, a quella prigione dorata; si parlò pure di una "storia" con la donna di un mafioso, ma nessuno lo saprà mai. 

    Come un fantasma si aggirava fra le piante tropicali del "roof garden" e si nutrì con antiche ricette siciliane che parsimoniosamente centellinò allo "chef" in cambio di notizie sul mondo esterno perché per quaranta anni non lesse giornali e aborrì la televisione. La sua bara ha avuto il privilegio d'uscire dall'ingresso principale con il saluto del personale schierato nella hall. Un addio a un pezzo di storia di questa città”-. Visto che, da quanto sopra riportato, il barone Di Stefano viveva in simbiosi con il Grande Hotel delle Palme, è’ giusto allora parlare anche di questo noto albergo. 

    Il Grande hotel delle Palme è uno storico albergo di Palermo sito in Viale Roma, nato nel 1874 dalla vecchia casa patrizia Ingham Withaker. Nella sua hall disegnata da Ernesto Basile nel 1907 si decide la storia politica, economica e mafiosa della Sicilia, perché frequentata da personaggi di spicco di tutti i campi. 

    Articolo tratto da "Agave". Per leggere gli altri articoli clicca su www.giornaleagave.it

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