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La storia di "Don Ancilu lu Ghiacciaru" e della sua indimenticabile "abbanniata"

di: Vito Marino - del 2014-10-11

Immagine articolo: La storia di "Don Ancilu lu Ghiacciaru" e della sua indimenticabile "abbanniata"

“GHIACCIUO…” Fra le tante “abbanniate” che allora si sentivano per le strade, allora libere da inquinamenti acustici, ricordo ancora quella di Donnancilu, (don Angelo), un ambulante grasso e sempre sudato, che spingeva a mano un carrettino su cui era collocata una ghiacciaia piena di lastre di ghiaccio. Passava tutti i giorni nelle ore calde del tardo mattino estivo, per vendere il suo prodotto, allora insostituibile, per rinfrescare e conservare gli alimenti.

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  • Eravamo negli anni ’50 e, tutta la mercanzia, compresa quella della bottega, veniva “abbanniata” (da abbanniari = bandire, dar pubblico avviso, imbonimento, rendere buono), per stimolare il compratore ad acquistare. “L’abbanniata” spesso avveniva con dei canti d’occasione, che rassomigliavano a quello dei carrettieri; quindi era di origine araba. Alcuni studiosi musicologi hanno abbinato questo genere di canto fra quelli popolari.

    Nel dopoguerra i frigoriferi e i congelatori ancora non esistevano; chi voleva acqua fresca da bere durante il periodo estivo, doveva attingerla dal pozzo o dalla cisterna, allora esistenti in moltissime abitazioni, con un secchio. Chi non aveva queste comodità, teneva in casa “lu bummuliddo di Sciacca”, un contenitore di terracotta fatto con un’argilla speciale che lasciava trasudare l’acqua in tante goccioline: queste, evaporando per il caldo, per un principio fisico, assorbivano il caldo del liquido contenuto, che si raffreddava. 

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  • Ricordo che molte persone “calavanu” il melone, messo dentro un sacco, nel pozzo e lo tiravano fuori, già fresco, al momento di consumarlo.  In detto periodo, le persone benestanti tenevano in casa la ghiacciaia, costruita in legno e rivestita internamente con lamiera zincata; l’isolamento termico avveniva con segatura e trucioli di legno, posti nell’intercapedine. Un apposito scomparto veniva giornalmente rifornito di ghiaccio, per tenere al fresco gli alimenti.    Il ghiaccio allora si vendeva dai bottegai ma anche dagli ambulanti per le strade. 

    “Ghiaaacciuooo!!!” Donnancilu, con la sua voce da tenore lirico, così annunciava il suo passaggio. Ricevuta l’ordinazione dall’acquirente egli, con un uncino avvicinava una lastra di ghiaccio, contenuta nella capiente ghiacciaia, ne staccava il pezzo richiesto, con una vecchia lima appuntita, e lo poneva nel contenitore che il cliente aveva portato. 

    A Castelvetrano la fabbrica del ghiaccio era di proprietà di Francesco Balano e si trovava nella circonvallazione di Via Diaz; il grossista Titone lo comprava dalla fabbrica e lo vendeva alle botteghe, ai bar e al venditore ambulante.  Eravamo nell’immediato dopoguerra e i ragazzi squattrinati non si potevano prendere il lusso di comprarsi un gelato o la granite di limone per rinfrescarsi, per cui per calmare l’arsura estiva, si compravano, con pochissimi spiccioli,  un pezzetto di ghiaccio da sciogliere in bocca.

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