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"Li Farauti" e "li ciarameddi". Ricordando il Natale di un tempo tra canti e tradizioni popolari

di: Vito Marino - del 2018-12-12

Immagine articolo: "Li Farauti" e "li ciarameddi". Ricordando il Natale di un tempo tra canti e tradizioni popolari

(ph. www.tropeaedintorni.it/)

La festa di Natale è la festa più attesa dell’anno; una ricorrenza celebrata in chiesa, ma anche nelle famiglie, nelle piazze e nei ristoranti, con modalità diverse da luogo a luogo e da un tempo ad un altro. Durante il Natale della mia infanzia la ricorrenza natalizia univa la religiosità alla tradizione popolare, fatta di presepe, “cosi duci” e canti natalizi come “triunfi, novene, e ninnaredde”.

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  • Queste manifestazioni, che erano fortemente sentite dal popolo, venivano diffuse dai “ciaramiddara” e dai “ninnariddara”, spesso ciechi e suonatori di violino, che si erano adattati al canto per motivi di sopravvivenza. Sin dal giorno dell’Immacolata, scendevano dalle montagne avvolti nelle loro caratteristiche pelli di capra, i “ciaramiddara” suonatori di “ciarameddi” (cornamuse).

    Generalmente giravano in coppia con il suonatore di “farautu” (flauto). Essi giravano per le strade, pagati dal comune per creare una lieta atmosfera natalizia oppure suonavano davanti il presepe delle case private, dietro un piccolo compenso; in quest’ultimo caso, la suonata comprendeva 4 pezzi (detti caddozzi) della durata di pochi minuti ciascuno.

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  • Nell'estesa famiglia delle cornamuse si contano diverse versioni sviluppatesi nei secoli in varie aree culturali europee; la tradizione delle cornamuse contemporanee inizia, nella forma che conosciamo, attorno al XVII secolo.

    ll suonatore di “ciarameddi” riempie una sacca fatta di pelle di capra con il proprio fiato, che fuoriesce attraverso tre canne a intonazione fissa e duratura, munite di ance semplici, simili a quelle delle launeddas (strumento etnico sardo), e una canna diteggiabile, munita di un'ancia doppia, come quella tipica della famiglia degli oboi, che serve per dare la melodia. -Il piffero o flauto o zufolo, che dir si voglia, in lingua siciliana si chiamava “farautu”.

    Si tratta di uno strumento a fiato ad ancia doppia e a forma conica, di legno, della famiglia degli oboi. Deriva dall'antica ciaramella medievale della famiglia delle bombarde, progenitrici dell'oboe moderno. L'attribuzione dei flauti alla famiglia dei legni deriva dal fatto che, fino al XIX secolo, la materia più utilizzata per la loro costruzione era appunto il legno.

    Uno zufolo siciliano è Il “friscalettu” di canna, tipico della musica popolare siciliana. È considerato, insieme al marranzano, al tamburello e alla quartara, uno degli strumenti simbolo della musica folcloristica siciliana. Il friscaletto è uno strumento che non permette variazioni volumiche di piano e forte, poiché una maggiore intensità nell'emissione del fiato ne causa inevitabilmente la stonatura della melodia.

    Ciascun friscaletto ha quindi la propria personalità, il proprio timbro e le proprie sfumature. Un elemento fondamentale della sua struttura è il tappo (realizzato in legno di oleandro, ulivo o fico). Ha sette buchi nella parte anteriore e, pur essendo un flauto artigianale molto semplice, presenta due buchi posteriori (a differenza, ad esempio, dei flauti irlandesi). Fa parte della famiglia degli aerofoni, essendo affine al flauto dolce. Esistono, come per gli altri flauti, friscaletti realizzati con diverse accordature. I più comuni sono accordati in do, in sol e in la.

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