Nel ricordo del "Cannizzu" e di come veniva usato
di: Vito Marino - del 2015-03-01
Il cannizzu era un alto contenitore formato di canne tagliate a strisce e intrecciate; arrotolato su se stesso assumeva una forma cilindrica. I due bordi erano cuciti assieme con “saccurafa” e spago di cannavazzu (canapa). Due listelli, ottenuti da un’asta di “zabbara” tagliata a metà, si ponevano nella parte interna ed esterna del cannizzu in corrispondenza delle due estremità da unire.
Generalmente i cannizzi si sistemavano nei magazzini a piano terra dei palazzi signorili o nei bagli custoditi o nella stessa cucina se non addirittura nella cammara (camera da letto) e comunque in ambienti asciutti.
Poggiato su un pedana di legno (tavulidda) che preservava il contenuto dall’umidità del suolo, il cannizzu consentiva la perfetta traspirazione del prodotto, impedendo che cominciasse a “aggigghiari” (fare i germogli) oppure di alterarsi.
Il grano si versava dall’alto, con “la coffa” (contenitore). Spesso, una crocetta di spighe intrecciate era posta al culmine del raccolto con chiaro valore propiziatorio. Un pezzo di tela (tiluneddu) ricopriva la parte superiore del silos, ad evitare l’introduzione d’animaletti, allora comuni nelle abitazioni. Sulla parte bassa, un foro otturato con uno straccio o chiuso da una tavoletta scorrevole a saracinesca, incastrata tra le stecche delle canne permetteva di volta in volta la fuori-uscita di piccole quantità di grano necessario al fabbisogno familiare.
Il “cannizzu” poteva contenere dalle quattro alle dodici salme, ovvero da nove a ventisette quintali di grano. I più grandi erano alti mt 2,50 circa con un diametro di mt 1,50. Quello destinato alla conserva delle fave era più largo, perché essendo la fava più leggera dei cereali esercitava meno pressione verso l’esterno.