Quando il latte arrivava nelle case grazie a "lu craparu". Ricordi di una pastorizia ormai dimenticata
di: Vito Marino - del 2018-10-17
Fino agli inizi del 1900 la pastorizia a Castelvetrano era molto sviluppata, perché trovava pascolo abbondante nei terreni lasciati incolti dai latifondisti e dalla manomorta della Chiesa, ma anche in quei terreni coltivati a grano lasciati a pascolo un anno ogni 3 o 4 per la rotazione agraria; di conseguenza era fiorente anche l'allevamento e il commercio di porci, vacche, cavalli, muli, asini, e, soprattutto pecore e capre con relativa attività casearia.
Con la legge 1080 del 3 luglio 1930, che imponeva una tassa su questa specie, il numero di allevamenti caprini si riduce sempre più, sino agli inizi degli anni ’80, quando la legge viene modificata. Da allora il suo allevamento vede una discreta crescita. Con l’introduzione della coltivazione della vite e degli ulivi su vasta scala, i terreni a pascolo sono diminuiti drasticamente; di conseguenza anche l’allevamento è diminuito, mentre è aumentato il pascolo abusivo a danno dell’agricoltore, favorito dalle leggi italiane permissive in materia.
La capra, in particolare è molto dannosa perché è ghiotta delle foglie dell’ulivo e si erge in piedi arrivando anche alle cime alte, recando grave danno alla pianta. Esistono opinioni discordanti circa le origini della capra domestica (Capra hircus). Molti studiosi ritengono che sia stata domesticata nell’area oggi compresa tra Iran, Siria e Palestina intorno all’8000 a.C. (Mesolitico).
In Italia oggi la razza più diffusa è quella maltese nel Meridione e la Saanen nel Nord. Una razza di capra selvatica, che in Italia vive allo stato selvatico sulle montagne della Sardegna è il muflone. Per quanto riguarda la loro alimentazione, i caprini preferiscono il pascolo di erba fresca nei campi in quanto trovano una varietà di alimenti da scegliere a loro disposizione.
Una volta nei cortili privati non mancava mai la capra legata al classico “cavigghiuni” conficcato nel muro in un angolo, ma generalmente il contadino si portava ogni giorno la capra in campagna per il pascolo. legata al guinzaglio dietro il carretto.
La Capra è un animale dal forte potere simbolico fin dai tempi più remoti e pressoché presente in tutte le culture e civiltà a noi antecedenti. Infatti, nell’antichità la capra era considerata come simbolo di stregoneria e addirittura di Satana; su questo argomento esiste una ricca letteratura. In Europa, ad esempio, sin dal Medioevo il diavolo si identificava con una capra: un grottesco essere antropomorfo con le sembianze di caprone.
In realtà la capra è un animale meraviglioso nata appositamente per i popoli del deserto come i Tuareg, perché si accontenta anche di poca erba secca; in cambio dà molto, come la carne, il latte e la pelle. La carne di capra (mi scusino i vegetariani) è poco considerata nei paesi occidentali, mentre è molto consumata nei paesi arabi. Dal punto di vista nutrizionale contiene meno grassi e colesterolo delle altre carni e per questo motivo è paragonabile alla carne di pollo, tuttavia dev'essere cotta più a lungo e a temperature più basse.
Anche il latte e lo yogurt di capra sono molto indicati nell’alimentazione, perché contengono poco lattosio ed una composizione chimica molto simile al latte umano. Un tempo, la pelle di capra veniva utilizzata per fabbricare otri per il trasporto di liquidi, come vino, acqua, olio oppure lavorata per ottenerne pergamena.
Quando ero ragazzo ricordo che l’olio dal frantoio veniva portato a casa proprio con l’otre, posto sul dorso del mulo o sul carretto. Al giorno d'oggi, la pelle è ancora utilizzata per farne guanti, capi d'abbigliamento, accessori o stivali. In Indonesia, la pelle di capra viene utilizzata nella costruzione di uno strumento musicale chiamato bedug.
La capra nostrana è coperta di pelo, non di lana, tuttavia esistono alcune razze nelle zone a clima freddo che sono coperte di lanugine, che tuttavia non viene tosata come avviene per la pecora. Inoltre, fatte le debite proporzioni, una capra riesce a produrre, più latte di una mucca. Per la legge ebraica, la capra è un animale considerato "pulito" e può essere macellato per onorare un ospite importante, oltre che per celebrare alcuni tipi di sacrifici; inoltre, la pelle di capra una volta veniva utilizzata per preparare la tenda che conteneva il tabernacolo.
Durante la cerimonia religiosa ebraica dello Yom Kippur "Giorno dell'espiazione" venivano scelte due capre: una veniva sacrificata e l'altra lasciata fuggire, portando con sé i peccati dell'intera comunità; è da quest'usanza che deriva il concetto di "capro espiatorio". Nel Nuovo Testamento, Gesù paragonò i suoi veri seguaci alle pecore, e i falsi seguaci alle capre.
“Lu craparu” era una figura classica, direi folcloristica, durante la civiltà contadina. Si trattava del capraio che allevava complessivamente una decina di capre, portandole al pascolo ogni giorno per vendere il latte prodotto giornalmente ai suoi clienti.
Quando ero ragazzo, intorno agli anni ’50 del secolo scorso, di mattina presto, ancora al buio si vedeva girare per le strade del paese, questo personaggio con le sue capre per la distribuzione del latte munto fresco davanti ai propri clienti, che già aspettavano il suo passaggio, per fare colazione.
Egli bussava e, appena il cliente si affacciava incominciava a mungere il latte dalle capre. Secondo la vecchia concezione di quegli anni, il latte di capra si poteva consumare senza bisogno di bollirlo, perché immune dalle malattie che invece colpiscono i bovini. Ricordo che in attesa della mungitura le altre capre si esercitavano a scornarsi: si alzavano sulle zampe posteriori e ricadevano urtandosi con forza con le corna.
Fra questi “crapara” ce n’era sempre qualcuno che cercava di fregare il cliente: teoricamente egli mungeva le capre di presenza, ma spesso, dopo aver bussato, furbescamente, quando il cliente si affacciava alla porta già lui aveva incominciato a mungere nella misura, dove prima aveva versato un poco d’acqua calda, che portava nella “burza” oppure mungeva in maniera veloce e più forte, per produrre molta schiuma e riempire prima il recipiente.
Negli anni della mia fanciullezza, tutti in famiglia facevamo colazione con il latte che ci portava il “craparo” Titone, al quale avevamo una certa fiducia. In quegli anni si raccontava un aneddoto, che presso a poco era il seguente: In una famiglia il latte venne regolarmente bollito; ma la figlia ragazzina si accorse che nel latte c’era un pelo di capra caduto accidentalmente durante la mungitura, si rivolse allora verso la madre e disse: ”Mamà, c’è un piliddu, che fa lu culi? (lo filtri?)”
La madre, senza riflettere rispose: “Aspetta, prima mi lavu li manu e po’ lu culu”. Voglio fare una precisazione sulla denominazione il siciliano della famiglia della pecora e della capra: il maschio della capra si chiama “beccu” e il figlio "ciaraveddu”, mentre il maschio della pecora si chiama “crastu” e il figlio “agneddu”. Quando la capra o la pecora non producevano più latte, si diceva che era “strippa”. Il noto proverbio siciliano: “O strippa o fa latti”, simile ad un altro che diceva: “o ti manci sta minestra o ti etti di la finestra” sta ad indicare una scelta drastica che si deve fare in determinate circostanze, senza alternativa.