Quando non c'era la Coca Cola e a CVetrano si beveva “La Selinuntina”
di: Vito Marino - del 2021-03-05
Si è detto sempre che i tempi cambiano e il mondo si rinnova con altre idee, usi, costumi, finanche i giochi dei bambini cambiano. A Castelvetrano, negli anni ’50 i rifiuti urbani si buttavano davanti il marciapiede, in punti determinati stabiliti dalle consuetudini; successivamente passava lo spazzino, oggi meglio denominato operatore ecologico, col carretto trainato da un asino, che con la pala prelevava l’immondezza, la caricava sul carretto e la portava alla discarica comunale, che si trovava in via Campobello, davanti il baglio del barone Sciacca (oggi Di Stefano).
Siccome tutti i rifiuti di allora erano biodegradabili, le “cataste” (i cumuli) dopo un anno erano pronti come compostaggio per concimare gli orti e i giardini d’agrumi allora molto numerosi a Castelvetrano. Quindi, allora, anche se non si conoscevano le parole tecniche oggi molto di moda, come “compostaggio, rifiuti organici, operatori ecologici, differenziata e indifferenziata” , si effettuava la trasformazione dell’umido in prodotto concimante. Si chiudeva in questo modo lo smaltimento dei rifiuti.
Allora la plastica non esisteva, il metallo si raccoglieva in casa e si vendeva. I vestiti, le scarpe si rattoppavano ripetutamente e si passavano da padre in figlio o da un figlio grande al più piccolo; finanche gli stracci si riutilizzavano. Gli infissi si aggiustavano lo stesso all’infinito e il mobilio si lasciava in eredità ai figli. Eventuali residui legnosi servivano come combustibile per cucinare. I materassi erano riempiti di lana o di paglia; la lana ogni anno si lavava, si asciugava al sole e si rimetteva nei materassi; la paglia si buttava nella concimaia e il materasso si riempiva con paglia d’annata.
L’acqua si prelevava dal pozzo o dalla cisterna o si andava a prendere alla fontanella (cannolu); quindi era un liquido prezioso e si riciclava per il gabinetto o per innaffiare le piante. Le bottiglie e gli altri contenitori di vetro si trattavano bene, perché in caso di rottura si dovevano comprare di nuovo. Addirittura una bottiglia inservibile si trasformava in bicchiere nel seguente modo: si versava acqua nella bottiglia all’altezza desiderata, si aggiungeva un filo d’olio, quindi si immergeva un ferro rovente: la bottiglia si tagliava netta all’altezza dell’olio.
Le lattine metalliche iniziarono a vedersi con l’arrivo dell’esercito alleato, con le conserve alimentari americane; anche queste non si buttavano e servivano come vaso per fiori. Intorno agli anni ’50 con l’inizio del benessere, nelle famiglie si incominciò a consumare le bibite gassate. Il servizio avveniva di porta in porta e “l’azzusaru” consegnando una cassetta di bibite pretendeva quella con le bottiglie vuote, viceversa si tratteneva l’importo da una cauzione precedentemente percepita. Così la raccolta differenziata odierna non si poneva.
In merito alla fabbrica di gassose ricordo che in via Bonsignore c’era una fabbrica di gassose, chiamata “La Selinuntina” dei fratelli Gandolfo, sorta negli anni ‘50. Poi si è trasferita in via Damiano fino al 1992. Allora non c’erano le bibite prodotte dalle multinazionali e una gassosa al limone o al caffè rappresentava la bibita non plus ultra. Le bottiglie da 250 g. di vetro a rendere avevano la chiusura con molla metallica e il tappo con guarnizione di gomma.
In precedenza c’erano quelle con il tappo a pallina di vetro, che saliva ed otturava l’uscita con la pressione gassosa interna. Erano rinomate: La gassosa, l’aranciata, l’aranciata sanguinella, il passito, il chinotto. Le bottiglie di vetro usate dai Gandolfo venivano comprate dalla Sicilvetro di Marsala e portavano una etichetta con la riproduzione del Tempio C di Selinunte, con la scritta “La Selinunt cina”.