Ricordando "l'animmula”. Ed ecco come nacque il detto “Firria comu n' animmula”
di: Vito Marino - del 2015-02-27
Durante la civiltà contadina oltre agli alimenti, si preparavano in casa anche i tessuti necessari per i fabbisogni della famiglia. La materia prima, come lana o cotone e raramente la canapa, si trovava facilmente nelle campagne proprie o nel mercato locale.
Le nostre nonne preparavano il filo, tramite il fuso, ma in molte famiglie negli ultimi anni era entrato l’uso dell’“animmula” (l’arcolaio), che poi passavano alle ragazze per tessere i tessuti al telaio.
L’arcolaio era un marchingegno era composto da un fuso, posto in posizione orizzontale, terminante con un gancio,che, girando velocemente avvolgeva la “stuppa” (la fibra grezza) che si cedeva con “mastria” (bravura) con l’indice e il pollice della mano sinistra. Siccome l’animmula gira velocemente, per paragone un proverbio diceva:
“Firria comu ‘n animmula” = gira molto veloce. L’animmula girava perché collegato, ad una ruota , fatta girare tramite un pedale, mediante una corda inserita nella scanalatura, che fungeva da cavo di trasmissione.
La pratica della filatura era in gran parte affidata alla sveltezza con la quale i polpastrelli del pollice e dell’indice della mano sinistra, cedevano parte della matassa di fibra trattenuta sotto l’ascella destra. Per assicurare uniformità e omogeneità di spessore al filo, di tanto in tanto, si inumidiva con la saliva per farlo scorrere meglio. Lo strumento era costruito in legno dal falegname locale.
Anche il cordaio usava uno strumento simile, ma molto più grande, utilizzando come materia prima zabbarinu (fibra di agave “zabbara”). o fibra di canapa, anch’essi prodotti nelle nostre campagne.