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Castelvetrano e e sue quattro croci tra storia, aneddoti e tradizioni religiose

di: Vito Marino - del 2020-03-18

Immagine articolo: Castelvetrano e e sue quattro croci tra storia, aneddoti e tradizioni religiose

Una croce in ferro, posta su un piedistallo in muratura, erano simbolo di morte, di cimitero, di fossa comune, o carnaio per come era chiamato più comunemente nel 1800. A Castelvetrano esistevano quattro di queste croci; l’unica che si è salvata dallo scempio programmato di monumenti, chiese, conventi e monasteri, avvenuto  negli anni ’50 –’60 è quella ancora esistente nel piazzale antistante la chiesa dei Cappuccini.  Un’altra si trovava al centro del Parco delle Rimembrane, fatta erigere nel 1932 dal potestà di allora, Riccardo Tondi, a ricordo dei caduti nella I Guerra mondiale. 

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  • Così ricorda l’evento lo stesso potestà Tondi: "nel Parco della Rimembranza eressi piramide centrale e la coronai con croce luminosa", su un lato del monumento c’era scritto: “Vittorio Veneto”.  Questa croce fu tolta, sempre in quegli anni neri già citati, per far posto ad una vasca. Una terza croce era stata posta in Piazza Benedetto Croce, dove oggi esiste una scuola. 

    Il Ferrigno, un nostro concittadino insigne ricercatore, nel suo opuscolo “La peste di Castelvetrano” descrive lo svolgersi della peste del 1624 – 1626 ed i provvedimenti presi dalle autorità: vicino la Chiesa di San Francesco di Paola, tra le attuali Via Lazzaretto e Via Quintino Sella fu istituito un lazzaretto per la cura dei contagiati. Nelle vicinanze, nello spazio dove oggi si trova la scuola Benedetto Croce fu istituito un cimitero e tutta l’area venne chiamata “Beati Morti”.

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  • La zona, chiamata località Sant’Alessio, fu circondata da muri ed al centro fu posta una croce di ferro con piedistallo in muratura. Una quarta di queste croci si trovava davanti il vecchio ospedale, che essendo alle origini un monastero, detto dell’Itria,  aveva anche una fossa comune.   

    Durante il Medioevo le sepolture furono collocate nei pressi delle chiese, vicino ai vivi “ad sanctos et apud ecclesiam”, cioè”, vicino ai santi e presso le chiese o nel chiostro e nelle zone limitrofe consacrate. Secondo la concezione della vita e della morte di allora, per essere più vicini a Dio, le  sepolture si effettuavano il più vicino possibile ad un altare di chiesa.

    Addirittura,  il clero e la nobiltà riuscirono a farsi seppellire sotto il pavimento delle chiese e addirittura sotto l’altare.  I poveri, invece, erano buttati letteralmente nei carnai, spesso a cielo aperto, profondi sino a sei metri che contenevano sino a 700 cadaveri. Periodicamente le ossa si toglievano per riporle negli ossari.

    Queste fosse comuni erano poste nelle immediate vicinanze dei monasteri. I monaci, quindi rappresentavano i custodi dei morti, sia materialmente che spiritualmente. Il celebre editto napoleonico di Saint Cloud, promulgato in Francia nel 1804 ed esteso alle province italiane, vietava la sepoltura nelle chiese e imponeva la costruzione di cimiteri fuori dai centri abitati, aggiungendo una disposizione egualitaria, a quella sanitaria. 

    Per quanto riguarda il cimitero di Castelvetrano, il Ferrigno ebbe a scrivere: “La scienza non poteva più tollerare che il putridume dei cadaveri, lasciati nei vortici dei carnai, ammorbasse l’aria”.

    Così, in rispetto della legge 11 marzo 1814, nel 1840 (dopo 26 anni) fu costruito il cimitero comunale. Prima di quella data esistevano a Castelvetrano diversi carnai in alcune zone interne dell’abitato: uno si trovava nell’odierna Via G. La Croce, il vicolo che il Noto denomina che, per l’occasione, anticamente era chiamata “Via delle anime poverelle”, situato alle spalle della Chiesa della Catena con frontale in Via Denaro.

    Un altro carnaio, “pozzo dei sitti” si trovava nei pressi della Chiesa di San Giuseppe, oggi Piazza Diodoro Siculo, mentre un terzo, “di San Rocco”, si trovava alle spalle della Chiesa di Sant’Antonio Abate, dove oggi c’è un giardinetto. Inoltre, quasi tutte le chiese conventuali erano provviste di carnaio, mentre, pei condannati a morte, c’era, la fossa comune di San Leonardo.   

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