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La cucina siciliana, i "Monsù" e il grande balzo compiuto durante il Regno delle Due Sicilie

di: Vito Marino - del 2019-07-11

Immagine articolo: La cucina siciliana, i "Monsù" e il grande balzo compiuto durante il Regno delle Due Sicilie

(ph. http://www.meteoweb.eu)

Fino a tutto il ‘500 l’Italia fu il punto di riferimento nella gastronomia europea: i banchetti della penisola, che duravano giornate intere, con carni e condimenti ricchissimi, tempi di cottura notevoli, erano l’esempio da seguire per le corti e la nobiltà, con la loro opulenza e teatralità nella presentazione.

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  • Nel lontano passato la povertà dell'Isola aveva imposto alle mogli dei pastori, dei pescatori e dei contadini di creare una cucina semplicissima, ma gustosa, che usava prodotti della pastorizia, della pesca e dell’agricoltura; si usavano molto le verdure alimentari, che potevano essere prodotte o raccolte liberamente nei campi demaniali o della manomorta abbandonati, nonché aromi raccolti allo stato selvatico, che servivano per aromatizzare bolliti, fritti e arrosti.

    Luigi XIV re di Francia, il Re Sole, con la sua fama e potenza era riuscito ad imporre anche sui popoli mediterranei la cucina francese. Il 7 aprile 1768, quando il Re Ferdinando IV di Borbone sposa Maria Carolina d'Austria, donna ostinata, intelligente e amante della cultura e del bello, in occasione delle sue nozze, sua sorella Maria Antonietta, Regina di Francia, ghigliottinata nel 1789 durante la Rivoluzione Francese, invia presso la corte borbonica due bravissimi cucinieri di Versailles, per preparare un banchetto sontuoso, che segna l'inizio dei Monzù nella corte di Napoli e in quella di Palermo.

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  • Da quella data, l’alta nobiltà siciliana, come principi, duchi, conti, consumavano cibi preparati secondo le regole fissate dalla grande cucina francese del seicento; non c'era aristocratico che non avesse un “monzù” nel suo palazzo, che faceva abitare nel “quarto del Monsù”: un alloggio privato tutto per lui. Il Monsù era colui che dava il tocco di eleganza ed originalità alle pietanze, signore e capo della cucina; è un vocabolo contratto dal francese: “monsieur” che significa signore. Ma i signori siciliani, se nei pranzi ufficiali e nelle grandi riunioni conviviali, si assoggettavano a gustare i delicati sapori francesi, nel quotidiano invitavano i loro monsù a creare cibi più robusti e dai sapori più forti, secondo le antiche tradizioni alimentari isolane.

    La nuova generazione di chef creò, così, una cucina completamente nuova, tenendo conto, oltre che dei prodotti raffinati usati nella cucina francese, anche quelli tradizionali locali dai sapori forti, utilizzando quanto la terra di Sicilia produceva e quello che la grande tradizione isolana greca, romana, araba, ebrea, normanna e spagnola aveva saputo conservare. In quegli anni i palazzi nobiliari diventarono palcoscenici di sontuosi pranzi e sfarzosi balli, che hanno segnato un'epoca fatta di lusso ed eleganza.

    I Monsù rielaborarono con sapienza quanto a loro disposizione, creando piatti che consumiamo ancora oggi: il gateaux di patate, l'aglassato, i timballi esternamente croccanti e ripieni di carne e formaggi, i polli farciti di riso o i beccafico, cacciagione cucinata ripiena delle propria interiora, la caponata agrodolce, gli involtini alla palermitana e il falsomagro, il grande timballo, o il “pesce coricato” o le melenzane  alla parmigiana, cotte “a fuoco sotto e fuoco sopra”, cioè con i carboni accesi pure sul coperchio.

    Furono proprio i Monsù, veri artisti della cucina a creare ricette per rendere mangiabile la carne dura e fibrosa di vecchie mucche. Inventarono per la carne vaccina una farcitura di ogni sorta di ben di Dio; inoltre, i ragoûts, i pâtés, i soufflés, le sontuose glasses e quei maccheroni en croûte profumati di burro e parmigiano.

    Il grande balzo compiuto dalla cucina di corte e delle case aristocratiche avvenne, quindi, durante il Regno delle Due Sicilie consacrando definitivamente la napoletana e la siciliana, fra le grandi cucine europee.

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