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"Li Farauti e ciarameddi" tra ricordi, storia e aneddoti

di: Vito Marino - del 2020-12-18

Immagine articolo: "Li Farauti e ciarameddi" tra ricordi, storia e aneddoti

(ph. Il castelvetranese doc)

La festa di Natale è la festa più attesa dell’anno; una ricorrenza celebrata in chiesa, ma anche nelle famiglie, nelle piazze e nei ristoranti, con modalità diverse da luogo a luogo e da un tempo ad un altro. Il Natale 2020 sarà una ricorrenza eccezionale in negativo: il virus della pandemia sta provocando una vera strage di vite umane in tutto il pianeta.

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  • Tuttavia, siccome la vita deve continuare, voglio ricordare ai sopravvissuti come si trascorreva la festività durante gli anni della mia infanzia (anni '40 – '50). In quegli anni la ricorrenza natalizia univa la religiosità alla tradizione popolare, fatta di presepe, “cosi duci” e canti natalizi come “triunfi, novene, e ninnaredde”, il tutto fortemente sentito dalla popolazione.

    Sin dal giorno dell’Immacolata, il “ciaramiddaru” (suonatore di “ciarameddi”) scendeva dalle montagne vestito con pelle di capra da montanaro, e cappello a larghe falde. Egli rappresentava una figura popolare unica per tutto il Mezzogiorno d'Italia.

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  • Il “ciaramiddaru” generalmente andava in coppia con il suonatore di “farautu” (flauto). In altri paesi invece del flauto, come accompagnamento, c'era il suonatore di “cincirincì” (il cerchietto) con i sonaglini metallici.

    Essi giravano per le strade, pagati dal Comune per creare una lieta atmosfera natalizia oppure, come avveniva per i “ninnariddara”, suonavano davanti al presepe o all'altarino delle case private, dietro un piccolo compenso; in quest’ultimo caso, la suonata comprendeva 4 pezzi (detti caddozzi) della durata di pochi minuti ciascuno.

    L'altarino spesso era improvvisato con una immagine della Sacra Famiglia ornato di fronde di arance e mandarini con frutti.

    Per i più giovani queste usanze rappresentano una novità, una tradizione a loro sconosciuta; si tratta in realtà di un patrimonio culturale, che i nostri nonni ci hanno lasciato, ricco di sentimenti di pace, d’umiltà e d’amore familiare. Valori ormai scomparsi nella moderna civiltà ove si assiste quotidianamente a violenze, odio, vendette e disgregamento della famiglia.

    Il Pitrè, in merito alle novene e ai “ninnariddara” scrive: "Vedevano nell’orbo (oltre che nello zampognaro), il “ninnariddaru” per eccellenza. La novena si celebrava nei giorni immediatamente prossimi alla festa di un Santo, delle molte Madonne venerate sotto vari titoli a prescindere dai calendari. Novene per i defunti venivano cantate il due novembre.

    Le celebrazioni si svolgevano in case private o dinanzi a un’edicola votiva o ad un’immagine sacra. […] Altre volte l’orbu percorreva le strade sostando a suonare dinanzi alle edicole, affidandosi alla carità dei devoti. […] Le novene potevano essere anche “matinali”, quando eseguite all’una di notte.

    Poi vi erano quelle su ordinazione che si cantavano dinanzi agli altari riccamente ornati, appositamente preparati in casa. Il periodo natalizio costituiva il momento in cui l’esecuzione della novena era più frequente. Gli zampognari “ciaramiddari” vanno in giro per le vie dei paesi e le melodie suonate si richiamano a motivi natalizi assai noti" 

    La “ciaramedda” (cornamusa) è uno strumento primitivo di pastori. È composto da un'otre fatta di pelle di capra, e dalle ance che producono il suono. La capra da sacrificare deve essere “strippa” (che non fa latte) e non troppo vecchia; si scanna nei mesi estivi. Si scuoia a partire dalla zampa posteriore sinistra e si tiene sotto sale per un paio di giorni. Quindi si lava, si tosa, si risvolta con il pelo all'interno, si legano le aperture non necessarie. Da una apertura si inserisce il beccuccio per soffiare e dalla parte opposta si inserisce il blocco della zampogna formato dalla ance per suonare.

    Per regolare l'altezza dei suoni si giostrava allargando o stringendo con cera d'api i buchetti o si levigavano le ance, modificandone la lunghezza. ll suonatore di “ciarameddi” riempie la sacca con il proprio fiato, che, uscendo attraverso le tre canne a intonazione fissa e duratura, munite di ance semplici, simili a quelle delle launeddas (strumento etnico sardo), e una canna diteggiabile, munita di un'ancia doppia, come quella tipica della famiglia degli oboi, produce la melodia desiderata. 

    Il repertorio suonato era vario da utilizzare seconda delle occasioni; per la ricorrenza natalizia era simile a quella del “ninnariddaru”; fra i brani suonati c'erano "lu viaggiu di San Giuseppe, la notti di Natali, lu picuraru, la vita di Cristo, vita e miracoli dei Santi, venerazione della Madonna, la parabola del figliol prodigo".

    Inoltre, c'erano varie Salve Regine e motivi di varie canzonette popolari, che si suonavano in altre occasioni.

    Il piffero o flauto o zufolo, che dir si voglia (“farautu” in lingua siciliana) è uno strumento a fiato ad ancia doppia e a forma conica, di legno, della famiglia degli oboi. Uno zufolo prettamente siciliano è Il “friscalettu” di canna, tipico della musica popolare siciliana. È considerato, insieme al marranzano, al tamburello e alla quartara, uno degli strumenti simbolo della musica folcloristica siciliana.

    È; uno strumento che non permette variazioni volumiche di piano e forte, poiché una maggiore emissione di fiato provoca una inevitabile distorsione dei suoni. Ciascun friscaletto ha quindi la propria personalità, il proprio timbro e le proprie sfumature; un elemento fondamentale della sua struttura è il tappo (realizzato in legno di oleandro, ulivo o fico).

    Per quanto riguarda i buchi per ottenere i suoni, ha sette buchi nella parte anteriore e, pur essendo un flauto artigianale molto semplice, presenta due buchi posteriori (a differenza, ad esempio, dei flauti irlandesi). Fa parte della famiglia degli aerofoni, essendo affine al flauto dolce. Esistono, come per gli altri flauti, friscaletti realizzati con diverse accordature. I più comuni sono accordati in do, in sol e in la.

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