"Lu tumazzu"e "la quarara” tra gastronomia, tradizione e storia
di: Vito Marino - del 2018-06-14
In foto: Mastredda per il caciocavallo
La produzione del formaggio ha origine antichissima; i primi reperti che testimoniano la sua lavorazione, scoperti in Mesopotamia risalgono al III millennio a. C. Ma il formaggio acquista la sua importanza solo a partire dal Medioevo. Oggi, per la lavorazione del formaggio, una serie di leggi italiane ed europee obbligano, per motivi igienici e convenzionali, ad osservare procedimenti ed attrezzature particolari. Le caldaie, ad esempio devono essere d’acciaio e a doppia parete con riscaldamento a vapore; ma la lavorazione tradizionale artigianale è più romantica, più interessante e più a livello d’uomo:
Il latte di pecora appena munto si “cula” (si filtra) con un “crivu” (setaccio) dalle maglie molto strette e si versa nella caldaia per la lavorazione, ed ottenere “lu fruttu” (i formaggi e la ricotta).
La “quarara” (caldaia) di rame, per la produzione della ricotta e dei formaggi, all'interno è stagnata; ha due manici laterali in ferro battuto in cui viene infilato un bastone che serve per tenerla sospesa sul fuoco e anche per poterla agevolmente rimuovere e spostarla. La capienza varia a seconda della necessità del massaro. Di solito una volta veniva acquistata nelle fiere, ma in ogni paese fino ad alcuni decenni fa c'è stato sempre “u quarararu”, (il calderaio ramaiolo), il quale si dedicava anche alla costruzione e alla riparazione dei vari utensili di rame.
La caldaia si mette sul “fucularu o cufularu”, col fuoco a legna acceso e si fa riscaldare il latte a 30 – 38 gradi centigradi (temperatura dello stomaco della pecora), quindi si aggiunge il caglio sciolto in poco latte. Il caglio, (detto anche presame) è costituito in gran parte da enzimi (chimosina o rennina, pepsina e tripsina) e si adopera per far coagulare il latte e trasformarlo in formaggio; spesso è di origine animale (ricavato dall’abomaso o quarto stomaco di agnelli e capretti lattanti dopo la macellazione), ma può essere anche vegetale (fiori di carciofo selvatico, lattice di fico, funghi) o sintetico (prodotto da batteri modificati geneticamente Il caglio sintetico non può essere usato nei formaggi con certificazione di origine (DOP o IGP),
Il caglio in pasta si suole conservare in un recipiente di legno duro, “Lu scutiddaru”, detto così per la forma di scodella che assume, a volte invece assume la forma di campana capovolta, e viene appeso nel locale in cui si confeziona la ricotta; ma si può utilizzare una ciotola di terracotta o il fondo di una bottiglia.
Il latte così si divide in due parti: “la quagghiata e lu seri” (la cagliata e il siero).
La cagliata, la massa granulosa che affiora dopo circa venti minuti è la caseina del latte, una pasta in cui sono presenti anche parte delle sostanze grasse, vitamine e minerali del latte.
Con la “rrotula” si “rutulia” (rompe) la “quagghiata” (cagliata) per farla precipitare nel fondo della caldaia; quindi si aggiunge acqua calda.
“La rròtula, che a seconda della parlata locale si chiama anche “rriminaturi” è un bastone adatto di circa un metro, in genere di legno di “agghiastru” (oleastro), con terminazione a pera o alla cui estremità viene inserita una rotella di legno o delle stecche di canna o delle sottili verghe molto flessibili o delle foglie di palma nana (curina).
Con un “vacile” (bacinella) si toglie il siero; la tuma che c’è nel fondo si pone nel “pracintinu o ‘ntummaturi”, apposito contenitore di plastica bucherellato, una volta fatto con steli di grano (li busi) opportunamente intrecciati, per darle una forma e filtrarla.
Questa massa si pressa per fare uscire il siero rimasto, e una volta asciugata e diventata più compatta rappresenta la “tumma” (tuma), la prima lavorazione del formaggio, senza sale. Per dare più consistenza e per sterilizzarla la tuma si mette nel siero bollente per un paio d’ore. Quindi, si può consumare così o si provvede alla prima salatura che trasforma la tuma in formaggio pecorino primo sale. Col passare dei mesi, con la stagionatura si ottiene il formaggio stagionato per mangiare o grattugiare.
Il formaggio già grattugiato una volta si chiamava “saliatu”, perché si versava con la punta delle dita, come si fa con il sale quando si aggiunge negli alimenti.
Il caciocavallo. Il caciocavallo è un formaggio di produzione siciliana, ma che come materia prima utilizza il latte di mucca. La lavorazione è la stessa: si utilizza il caglio di agnello, e, ottenuta la tuma, si conserva al calduccio fino al giorno dopo. Quindi si taglia a fette, come si fa con il pane, si aggiunge acqua calda, e si rilavora a mano e con la “manuedda” un attrezzo di legno a forma di braccio. La forma che si da può essere a forma di pera o di parallelepipedo.